STATUS DEI PRIGIONIERI DI GUERRA
Nel maggio 2008 si è svolto a Copenhagen un seminario internazionale sulle esperienze maturate a livello nazionale ed internazionale in materia di trattamento dei detenuti durante le operazioni armate internazionali.
Negli ultimi anni, alle tradizionali operazioni di peace-keeping e peace-making si sono affiancate operazioni in cui forze militari agiscono in sostegno di governi che necessitano assistenza per stabilizzare i loro Paesi, oppure in appoggio all’amministrazione internazionale di un territorio. In simili operazioni, delle forze militari possono trovarsi a svolgere compiti che normalmente spetterebbero alle autorità nazionali, compresa la detenzione di persone nel contesto di operazioni sia militari che di law enforcement.
E poiché i Paesi in cui ciò avviene sono alle prese con problemi interni, sovente il trasferimento di detenuti alle autorità locali non si rivela possibile: ecco quindi porsi il problema del trattamento di tali detenuti, da attuare in conformità con gli obblighi internazionali degli Stati detentori’.
Gli aspetti giuridici sono assai complessi, ed implicano considerazioni sia di diritto internazionale umanitario, sia di normativa sui diritti umani. Le norme applicabili dipendono dall’esistenza o meno di un conflitto armato, ed in caso positivo, se esso abbia o no natura internazionale
Concentrandoci sul caso specifico della detenzione, constatiamo che di tale termine non v’è una definizione legale nelle Convenzioni di Ginevra.
Nei conflitti armati internazionali, i prigionieri di guerra ottengono il loro status quando sono caduti in potere del nemico.
Gli articoli 12 e 13 della terza Convenzione di Ginevra indicano come decisivo il momento in cui uno Stato ha una persona nella sua custodia (custody).
Circa la normativa dei diritti umani, la questione rilevante è se una persona ricada sotto la giurisdizione di uno Stato, il che avviene quando essa si trova nel territorio di quello Stato.
Peraltro, si comincia a diffondere l’accettazione del fatto che la predetta normativa può applicarsi anche fuori del territorio di uno Stato. I prigionieri di guerra e gli internati civili in territori occupati godono di un regime di trattamento più dettagliato di quello di altri detenuti, siano essi criminali di diritto comune o detenuti in situazioni che non si qualificano come conflitti armati internazionali.
Circa la questione del trasferimento di detenuti, nei conflitti armati internazionali la Terza Convenzione prevede che i prigionieri di guerra possano essere trasferiti da una ad un’altra parte contraente, e soltanto dopo che la potenza detentrice si sia assicurata della volontà e capacità dello Stato di trasferimento di applicare la Convenzione (art. 12).
A seguito del trasferimento, lo Stato ricevente assume la responsabilità dei detenuti e questo passaggio potrà verificarsi sovente, data la maniera in cui le odierne operazioni militari sono pianificate.
Esse normalmente coinvolgono un certo numero di Stati, che si dividono i differenti compiti connessi con l’operazione. Se lo Stato territoriale non ha la capacità di ricevere detenuti, uno degli Stati partecipanti si assumerà l’incarico di gestire una struttura carceraria, e gli altri Stati gli trasferiranno i detenuti; tutto ciò, nell’attesa che lo Stato territoriale sia in grado di riprendere ad esercitare le sue attribuzioni, poiché la Potenza detentrice non potrà continuare nell’esercizio della detenzione per un tempo indeterminato.
Quando delle forze armate di Stati partecipanti ad operazioni militari agiscono in appoggio di Governi che necessitano assistenza per stabilizzare i loro Paesi, lo Stato territoriale, pur se desideroso di farlo, potrebbe non essere in grado di soddisfare tutti i suoi obblighi internazionali Possono verificarsi delle incertezze giuridiche, suscettibili di ripercuotersi sull’andamento delle operazioni militari
È importante determinare fin dall’inizio lo status della persona detenuta: prigioniero di guerra, civile, imputato di reati comuni ecc. Viene anche presa in considerazione la questione della responsabilità delle organizzazioni internazionali.
Se un’operazione è diretta dalle Nazioni Unite o, per loro mandato, da un’organizzazione regionale, si può argomentare che le Nazioni Unite o l’organizzazione regionale siano responsabili per le detenzioni.