Lo statuto speciale? Un bluff …

Palermo, 28 agosto – Si accende in Sicilia il dibattito politico sull’opportunità di mantenere in vita ancora l’autonomia prevista dallo “Statuto speciale siciliano”.

Da una parte c’è chi sostiene che l’opportunità data dai padri costituenti si è trasformata in un ostacolo, una zavorra.

A pensarla così è Fabrizio Ferrandelli, l’ex deputato regionale del Pd dimessosi dall’Ars in polemica con Crocetta e con il Pd, il quale sostiene che abbiamo bisogno di “… una Sicilia non speciale, ma straordinariamente normale perché pensa all’interesse dei siciliani e non alle convenienze di una classe dirigente scaduta come lo yogurt, di una politica del ficodindia che difende una cosa del ’46 per bloccare il cambiamento e sequestrare il futuro dei siciliani e poi, nel bel mezzo del fallimento, va con il cappello in mano a Roma a chiedere l’elemosina. Al contrario, la riforma del Titolo V della Costituzione ci offre l’opportunità di essere protagonisti a Roma per ridisegnare l’autogoverno dei territori senza vittimismi ma con una visione che raccolga le nuove sfide della modernità e che riporti la Sicilia al centro dei processi economici e politici dell’Europa e della Macroregione del Mediterraneo“.

Dall’altra parte, vi sono i Movimenti Indipendentisti che al contrario chiedono la piena attuazione dello Statuto siciliano, per un’autonomia non ancora attuata, spingendosi fino alla richiesta di indipendenza o la costituzione di uno Stato federale.

Di certo si può affermare, senza essere smentiti, che l’Autonomia Siciliana è stata ampiamente soffocata, anzi tradita sia dai partiti sia dagli stessi parlamentari nazionali eletti in Sicilia. Scoraggiante il dato relativo alle previsioni finanziarie. Il risultato è che lo Stato trattiene illegittimamente gran parte delle risorse che spetterebbero ai siciliani.

Attribuire alla Sicilia tutte le entrate tributarie che maturano nel suo territorio, acque territoriali incluse, per allentare l’oppressione fiscale che stritola la regione. È questo l’obiettivo del disegno di legge, voto che diverse associazioni e movimenti siciliani hanno messo a punto nei giorni scorsi sul tema del’attuazione dello Statuto siciliano in materia finanziaria, che prevede, tra le altre cose, un referendum. Il disegno di legge verrà presentato all’Ars, dove non mancano deputati pronti a farsene carico.

Il professor Massimo Costa,  docente di Economia aziendale all’università di Palermo e tra i principali esperti dei capitoli finanziari dello Statuto siciliano afferma: “Noi siamo convinti che, al di là di specifiche responsabilità politiche, il mancato rispetto della nostra Costituzione regionale, lo Statuto, gridi vendetta in questo momento. Non possiamo continuare a farci derubare di svariati miliardi l’anno e poi accendere in continuazione mutui con lo Stato (evasore) per coprire questi buchi. È una situazione insostenibile. Oggi la Sicilia si comporta nei confronti dello Stato italiano come quell’amministratore di condominio che, di fronte alla necessità di pagare i debiti a fronte di un condomino che non paga mai, andasse proprio dal condomino moroso a farsi prestare a interesse ciò che questi dovrebbe versare, magari anche con gli interessi di mora. Ecco: lo Stato italiano è il condomino moroso, che dovrebbe pagare anche i danni, e il quale invece addirittura ci presta a usura quanto ci è dovuto per diritto”.

Non è facile rispondere alla domanda da cosa dipende la mancata attuazione dello Statuto? Forse da un blocco delle competenze legislative della Regione che ha origine nella giurisprudenza abrogativa della Corte Costituzionale.

La Corte Costituzionale, che per Costituzione (sembra un gioco di parole ma non lo è) non è competente a giudicare della costituzionalità delle leggi siciliane, pur di difendere il principio con il quale ha abolito (o crede di aver abolito) la competenza naturale dell’Alta Corte, è arrivata ultimamente ad abrogare interi pezzi dello Statuto.

In queste condizioni qualunque iniziativa della Regione sarebbe “castrata” a Roma, dove sarebbe dichiarata incompetente.

Ma quali sono le peculiarità attribuite allo Statuto siciliano, che alcuni oggi chiedono di abrogare?

I rapporti finanziari tra Stato italiano e Regione siciliana sono caratterizzati – come è noto – dal perdurare di un inadempimento nell’attuazione del dispositivo statutario che data ormai dalle origini dell’Autonomia stessa.

Il cuore dell’Autonomia siciliana risiede proprio nel Titolo V dello Statuto (Patrimonio e Finanze). Il suo dettato è molto semplice e chiaro: la Regione ha potestà impositiva autonoma, e introita ogni tributo maturato sul territorio, anche su quelli che, in ragione dell’unità economica del Paese (ad esempio le entrate doganali) non possono essere manovrati dalla finanza regionale, ma, in cambio, si fa carico della maggior parte della spesa corrente, sia propria, sia degli enti locali, cui comunque deve garantire la più ampia autonomia finanziaria. Ovviamente sono presenti rapporti e compensazioni, tra la finanza statale e quella regionale, ma si tratta di rapporti marginali, fissati per diritto costituzionale, le cui finalità sono essenzialmente quella di garantire – si direbbe oggi – la coesione economica e sociale del Paese, nonché la sua fondamentale unità economica. Per il resto la Sicilia disponeva, e sulla carta dispone ancora, di una forma avanzata e radicale di federalismo fiscale fondata sulla responsabilità che in quanto tale merita rispetto.

Per questa ragione, e solo per questa ragione, allo Stato erano riservati alcuni campi legislativi (in verità davvero secondari rispetto all’amplissimo dispositivo degli artt. 14 e 17 dello Statuto); a questi campi legislativi residuali sono connesse funzioni esecutive che possono comunque essere delegate alla Regione, con l’esclusione implicita della Difesa, degli Esteri e di ogni altra parte dell’Amministrazione Pubblica che attiene alla personalità giuridica di diritto pubblico internazionale, la quale può essere attribuita solo allo Stato. Per finanziare queste attività residuali dello Stato (Interni, Giustizia, Difesa, e poco altro) era stata prevista una riserva di gettito per lo Stato al secondo comma dell’art. 36, prima che la collocazione in Sicilia dei più importanti impianti di raffinazione di prodotti derivati del petrolio rendesse queste entrate assolutamente sovrabbondanti rispetto alle esigenze per le quali esse erano state istituite.

Un capitolo a parte meriterebbe la mancata attuazione del Titolo IV, relativo alla gestione dell’ordine pubblico affidato alla direzione del Presidente (e non Governatore come erroneamente chiamato) della Regione Sicilia.

L’art. 31 così recita: “ … al mantenimento dell’ordine pubblico provvede il Presidente della Regione a mezzo della polizia dello Stato, la quale nella Regione dipende disciplinarmente, per l’impiego e l’utilizzazione, dal Governo regionale”.  Ma questa è un’altra storia.

Allora, richiesta legittima di indipendentismo? Il vento catalano soffia forte e non solo a Barcellona. Nella città catalana, come abbiamo appreso dai media spagnoli, il referendum per l’indipendenza da Madrid, si è concluso con un plebiscito: l’80,2% dei catalani ha detto sì. Sappiamo anche, che la Corte Costituzionale spagnola, ha disinnescato la bombagiudicandolo incostituzionale. Il referendum, quindi, non ha valenza legale. Ma, di certo è l’ennesimo chiarissimo segnale che la Catalogna invia alla Capitale spagnola.

Ma il vento catalano scuote anche l’Italia. Lo conferma il sondaggio realizzato da Demos per il quotidiano Repubblica. I risultati, infatti, sono dirompenti, anche se non del tutto sorprendenti. A guidare la classifica delle regioni a vocazione indipendentista, infatti, è il Veneto con il 53% dei suoi cittadini che si dice favorevole all’addio all’Italia. Segue la Sardegna, dove i movimenti indipendentisti sono molto radicati, che si piazza al secondo posto con il 45%. Al terzo posto, con il 44% ecco la Sicilia. 

Il dato della nostra regione sorprende fino ad un certo punto. La storia ci insegna che la vocazione indipendentista è insita nel DNA dei siciliani. Sappiamo anche che, all’indomani della seconda guerra mondiale, la Sicilia fu a un passo dall’Indipendenza, ma conquistò l’Autonomia: lo Stato italiano, dopo una serrata negoziazione, accettò quello Statuto, quale vero e proprio patto pacificatorio tra Italia e Sicilia, con Regio Decreto del 15 maggio del 1946, pur di non perdere il controllo dell’Isola. 

Sembra quindi giunto il momento del referendum.

Pif, regista palermitano, star della renzianissima Leopolda, recentemente con una battuta ha detto : “Noi dell’autonomia della Sicilia che ce ne facciamo se uno deve stare otto ore per fare da Palermo a Messina in treno? Basta con l’autonomia siciliana, voglio fare un referendum per abolirla“.

Un’idea già lanciata dallo scrittore e intellettuale Pietrangelo Buttafuoco, che nel suo “Buttanissima Sicilia” parla dell’autonomia come di un mostro da buttare via, “… un disastro totale. L’altro pezzo portante della trattativa, la testa dell’acqua, quella che si ebbe tra lo Stato e la mafia quando venne concepito quell’aborto che è l’autonomia regionale siciliana”.

Per concludere, allora, la parola, o meglio il voto, con un referendum, ai siciliani “autonomia si autonomia no!”… e così sia!

Exit mobile version