Dopo le promesse ad uso e consumo della propaganda elettorale di Berlusconi e di Renzi, l’ultima uscita, in ordine temporale, è stata quella del Ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, il quale ci ha riproposto per l’ennesima volta, la solita “minestra riscaldata” che non piace più a nessuno.
Purtroppo passano gli anni, si avvicendano le generazioni ed i governi ipotizzano opere, certamente utili, di alta ingegneria avveniristica, ma poi le risorse non si trovano e non se ne fa più nulla.
Abbiamo sempre avuto (e continuiamo ad averla), molta stima e tanto rispetto per il titolare dei Beni Culturali, (erede naturale della “Balena Bianca”) sicuramente uno dei migliori dell’attuale governo Gentiloni, ma nell’attuale contesto socio-economico, la “barzelletta” del ponte sullo stretto poteva e doveva risparmiarcela.
Come aggravante dell’improvvida battuta si segnala la circostanza del fatto che è stata fatta nel corso della riunione dell’importante Forum di Cernobbio dove generalmente intervengono capi di Stato e di Governo, massimi rappresentanti delle Istituzioni, premi Nobel, Manager di tutto il mondo e così via.
Va sottolineato il fatto che il ministro, accortosi di averla “sparata grossa” ha corretto il tiro precisando che le sue proposte erano strettamente personali e non decisioni del Governo, per cui ha fatto chiaramente capire che lui propone e l’esecutivo dispone.
Sulla necessità del ponte, che certamente favorirebbe lo sviluppo del turismo. nessuna obiezione, ma contestualmente si dovrebbero modernizzare ed adeguare i collegamenti interni della Sicilia, dal momento che i vari centri dell’isola sono collegati tra loro con ferrovie obsolete risalenti a più di un secolo fa.
Eppoi non si può dimenticare che poco più di 10 anni fa (2006) fu proprio il ministro Franceschini che nel suo ruolo di capo-gruppo del PD alla Camera, ha chiaramente detto che l’opera non rientrava nelle priorità del governo.
Senza contare che non si è ancora del tutto spenta l’eco degli attacchi ai governi presieduti da Berlusconi proprio sulla realizzazione di quest’opera, ritenuta, dagli oppositori dell’epoca, eccessivamente costosa e senza la necessaria copertura finanziaria.