Sulla cattura del terrorista Cesare Battisti.. con necessarie riflessioni..

Roma, 19 gennaio 2019 – Facendo riferimento alla recente cattura del terrorista Cesare Battisti.. rendendo doveroso omaggio all’eroico suo omonimo Eroe della nuova Italia.. catturato in lontano Paese dove latitava, grazie ad un ottimo lavoro diplomatico, piaccia o no!, del Governo attuale e grazie a incisive indagini di Polizie e Intelligence nostrane collegate a quelle estere, si è subito more italico aperta la sceneggiata di buonisti e vendicativi cattivisti (si dice?), previo indossamento di gilet rossi, neri, gialli , a strisce o a pallettoni ricamati, facendo trasalire i benpensanti, ahimè genia rara in questa Italia, per balletti televisivi o cartacei di giornalisti telecomandati..
Bene, passando ad argomenti seri, leggiamo un articolo del 15 gennaio sul SAPPE -Organo Ufficiale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria – che ci dovrebbe far meditare..
“Sono gli uomini della Polizia Penitenziaria a prendere in consegna Cesare Battisti nelle sale interne dell’aeroporto di Ciampino e poi a trasferirlo al carcere di Oristano. E fu un uomo della Polizia Penitenziaria anche la prima vittima dell’ex terrorista. Dopo più di 40 anni la nemesi della Storia giunge a compimento. Antonio Santoro (in foto) aveva 52 anni e comandava, con il grado di Maresciallo, le Guardie del carcere di Udine. Il 6 giugno del 1978 un commando dei “Proletari armati per il Comunismo” lo aspetta sotto casa: Cesare Battisti ed Enrica Migliorati fingono di scambiarsi effusioni e, subito dopo il passaggio dell’agente, il terrorista gli spara alle spalle tre colpi di cui due mortali alla nuca. Poco dopo, nel volantino di rivendicazione intitolato “Contro i lager di Stato”, i terroristi (perché tali erano, piaccia o no! nda) scrivono che l’istituzione carceraria va distrutta perché “ha una funzione di annientamento del proletariato prigioniero” e di “strumento di repressione e tortura”. A Santoro, Medaglia d’Oro al Merito Civile alla memoria, nel 2007 è intitolata la nuova Caserma della Polizia Penitenziaria di Udine. Per questo, nello sguardo dell’uomo che è ritratto dietro Battisti nella foto, e dei suoi colleghi di Polizia Penitenziaria che non lo perderanno di vista per tutto il tragitto fino al carcere, brilla una luce particolare. Non c’è solo un’espressione di fierezza, c’è la soddisfazione di fare il proprio dovere e di aver assicurato un assassino alla giustizia.”
Ma chi è Cesare Battisti? Scrive Maurizio Tortorella su “Panorama”. “Certamente un ex terrorista italiano negli anni di piombo. Evaso dal carcere di Frosinone nel 1981 dopo una condanna a 12 anni in primo grado per banda armata, è stato condannato in seguito in contumacia per partecipazione a quattro omicidi. Ha ricevuto asilo fuori dei confini italiani come rifugiato politico e ha svolto l’attività di scrittore. Condannato all’ergastolo, con sentenze passate in giudicato, per quattro delitti, due commessi materialmente, due in concorso con altri (concorso materiale in un caso, morale nell’altro, secondo la legislazione d’emergenza degli anni di piombo), oltre che per vari reati legati alla lotta armata e al terrorismo. Egli afferma la propria innocenza per quanto riguarda gli omicidi, oltre ad aver richiesto una soluzione di amnistia per il periodo 1969-1990.
Trascorse la prima fase della sua latitanza in Messico e in Francia, dove beneficiò a lungo della dottrina Mitterrand, si sposò ed ebbe due figlie, ottenendo la naturalizzazione, poi revocata prima di ottenere il passaporto, infine in Brasile dal 2004 al 2018” Ora una legittima domanda dei comuni osservatori… Ci sono altri terroristi latitanti? La risposta la affidiamo a PANORAMA e così apprendiamo che la lista è lunga e davvero mortificante, per la Giustizia italiana. Tra gli esponenti più significativi del terrorismo impunito ci sono Alvaro Lojacono e Alessio Casimirri, due vecchi brigatisti rossi (oggi hanno 63 e 67 anni) che non si sono mai formalmente pentiti. Facevano parte del commando che il 16 marzo 1978 entrò in azione a Roma, in via Fani, uccidendo i cinque uomini della scorta dell’ex Presidente della Dc. Sette mesi dopo, insieme, avevano anche colpito mortalmente alla testa il magistrato Girolamo Tartaglione, Direttore Generale degli Affari Penali. La nostra Corte di Cassazione, in contumacia, li ha condannati all’ergastolo ma sono riusciti a fuggire e in Italia non hanno mai scontato un giorno di pena.
Oggi, però, nessuno dei due è estradabile perché Lojacono ha preso la cittadinanza Svizzera, mentre Casimirri ha ottenuto quella nicaraguense. Lojacono, che in Italia era stato condannato a 16 anni di galera anche per l’omicidio di Nikis Mantekas, un simpatizzante di estrema destra ucciso a Roma nel 1975, era stato arrestato in Corsica nel giugno 2000, ma è stato subito liberato dalla giustizia francese che non riconosce le condanne in contumacia. In Svizzera, Lojacono ha cambiato cognome in Baragiola, e nel 1989 è stato condannato per l’omicidio Tartaglione a 17 anni di reclusione (ne ha scontati solo 11 per buona condotta). Dal 1988 anche Casimirri si fa scudo di un’altra cittadinanza: si è sposato a Managua, dove gestisce un ottimo ristorante di pesce, El buzo («Il subacqueo») frequentato anche da reduci dell’estremismo rosso italiano.
Fatta quest’ampia premessa ora va trattato l’argomento sul protezionismo francese e straniero, quindi facciamo un passo indietro citando il grande coraggioso Procuratore della Repubblica di Padova, Pietro Calogero (personalmente conosciuto durante la mia triennale presenza in Veneto), ascoltato dalla Commissione d’inchiesta sul caso Moro presieduta dall’ ottimo On. Giuseppe Fioroni (che ha concluso recentemente i lavori con la precedente legislatura), in merito alle sue indagini sulla scuola di lingue Hyperion.
Su “Il Fatto Quotidiano” apparve un interessante articolo di Stefania Limiti…Una centrale informativa legata alla intelligence americana e impegnata in una azione informativa e di controllo dell’espansione comunista in paesi chiave dell’Europa.. Il Pubblico Ministero (Calogero, appunto), in quei giorni, ricevette una telefonata del Ministro dell’Interno dell’epoca, Virgilio Rognoni, che gli assicurava tutto il suo sostegno e la disponibilità piena di due ottimi investigatori, Luigi De Sena e Ansoino Andreassi. Il suo team si mise al lavoro, riuscì ad individuare una sede in Normandia della scuola di lingue. Lì telefonavano tutti gli uomini intercettati: ma quell’utenza era superprotetta e così la villa, circondata da un triplice anello concentrico di sensori molto sofisticati che impedivano ogni avvicinamento. “I nostri colleghi francesi ci spiegarono che si trattava di una sede coperta della Cia che possedeva ville di quel genere in altre capitali europee utilizzando apparecchiature così potenti. Subito dopo uscì un articolo sul Corriere della Sera che dava conto delle indagini.. I Francesi a quel punto si rifiutarono di continuare la collaborazione con noi, questi metodi, ci dissero, li screditavano.. Sicuramente – ha aggiunto il Presidente della Commissione Parlamentare, On. Giuseppe Fioroni – capirono anche che almeno una parte dei Servizi (italiani nda) non voleva indagare… Gli investigatori di Calogero scoprirono una sede in Belgio e una a Londra dove si recarono chiedendo aiuto a Scotland Yard che ufficialmente non sapeva nulla, ma accadde un fatto strano.. La stanza d’albergo di De Sena fu messa sottosopra, nulla fu portato via, neanche uno spillo: un avvertimento chiaro. De Sena chiamò Calogero, che gli disse di lasciar perdere e di rientrare. Solo gli inglesi sapevano di quella missione per cui dissero che non erano disponibili a collaborare… Sin qui l’articolo della giornalista Stefania Limiti.
Ora, nostre valutazioni sull’argomento.. e diciamo come chi ha gli anni giusti e memoria lunga per attività istituzionale pregressa per ricordare, che già nel 1979, quando Calogero era alla Procura di Padova, con la sua inchiesta storica “7 aprile”, toccò un ambito importante e strategico: il rapporto fra i dirigenti storici di Potere operaio (e poi Autonomia), Toni Negri in testa, e le Br. Secondo la tesi investigativa, esistevano legami talmente stretti che addirittura si poteva individuare nella leadership dell’Autonomia il “cervello politico-intellettuale” dell’organizzazione militare brigatista. Questo ruolo, secondo Calogero, Negri e gli altri lo avrebbero svolto a Parigi, all’ombra appunto dell’istituto di lingue Hyperion, fondato nel 1974 da Corrado Simioni. Ma la sua inchiesta non andò a buon fine perchè sabotata da pilotate improvvide campagne di stampa condotte da intellettuali di sinistra, mentre gli inquirenti francesi, che avevano inizialmente promesso collaborazione, all’improvviso la negarono e il Magistrato padovano non riuscì ad avere gli elementi utili al proseguimento dell’importante indagine giudiziaria. Il 7 aprile 1979, furono effettuate centinaia di perquisizioni in tutta Italia, con l’arresto, sulla base di 22 ordini di cattura firmati da Calogero, nei confronti di 15 esponenti di “Autonomia Operaia”, tra cui Toni Negri e Oreste Scalzone, mentre fuggirono all’arresto, tra gli altri, il noto Franco Piperno. Erano tutti professori, assistenti e studenti universitari e giornalisti, tutte persone di alta cultura, tutte protese ad avvelenare non solo le coscienze con i loro scritti, ma disposti anche ad imbracciare le armi, come si evince dai capi di accusa. Dodici degli imputati furono incriminati anche “…..per aver organizzato e diretto un’associazione denominata “Brigate Rosse” … al fine di promuovere l’insurrezione armata contro i poteri dello Stato e mutare violentemente la Costituzione e le forme di governo sia mediante propaganda di azioni armate contro persone e cose…
Chi erano questi signori, tutti ben acculturati nelle farneticazioni deliranti dell’ultracomunismo più becero e violento? Certo, in quei tragici anni ‘70, così lontani, eppure tanto vicini a noi nel tempo e nella memoria, non ci fu un autorevole Uomo di Stato che abbia potentemente urlato contro questi “Cattivi Maestri”, chiamando a raccolta le coscienze migliori per contrastare la guerra civile che si andava delineando.
Con azione di supplenza, ci fu come sempre, solo la Magistratura unitamente alle benemerite Forze dell’Ordine, unico presidio di Legalità democratica, come lo sono ancora oggi, a contenere senza sostegno morale e materiale l’urto nelle piazze di “canee” scatenate e folli, spesso armate di congegni micidiali.
Come non ricordare i motti e i lazzi del tenore:”Carabiniere basco nero primo posto al cimitero!”; cambiato dalla stessa imbecille ubriacatura ideologica, in tempi più recenti, in:”10-100-1000 Nassiriya!”
Andavano, quindi, di scena questi tristi personaggi, che giudicarono e condannarono a morte il povero Commissario Luigi Calabresi per una morte, come stabilirono le indagini, assolutamente accidentale dell’anarchico Giuseppe Pinelli. Questa farsa sanguinaria ispirò pure la lettera che fu pubblicata su “L’Espresso”, firmata da 800 intellettuali, di cui alcuni di loro, ma solo alcuni, chiesero poi tardivamente scusa. “Dovrà rispondere di tutto. Gli siamo alle costole, ormai, ed è inutile che si dibatta come un bufalo inferocito… Qualcuno potrebbe esigere la denuncia di Calabresi per falso in atto pubblico. Noi, più modestamente di questi nemici del popolo, vogliamo la morte… ” (così si scriveva su Lotta Continua del 6 giugno 1970).
In quel periodo, diversi giornalisti, non legati a “Lotta Continua”, prestarono il loro nome firmando il giornale come direttore responsabile per consentirne la pubblicazione. Come scritto, L’Espresso, in tre successivi numeri apparsi in edicola a partire dal 13 giugno 1971, pubblicò la lettera di cui sopra. Tra i firmatari c’erano artisti, registi, editori, giornalisti, politici, accademici, filosofi, scienziati, sindacalisti e, in generale, molti tra i più noti esponenti della cultura italiana del tempo.
Di questi, taluni, sono divenuti importanti esponenti della politica nazionale, mentre altri ricoprono ancora posti di rilievo nella società odierna.
Sul Caso Moro, il mistero ancora incombe. Proprio per questo, che dire dei BR dissidenti Morucci e Faranda, che si trasferirono a casa di un giornalista di un quotidiano della Capitale e infine nell’abitazione romana di Giuliana Conforto dove furono arrestati il 29 maggio 1979? Del caso, va ricordata la circostanza che la mitraglietta Skorpion con cui fu ucciso il Presidente della Dc fu ritrovata proprio in quella casa, in via Giulio Cesare 47, di proprietà della citata Giuliana Conforto, figlia di Giorgio Conforto, alias agente “Dario”, capo della rete spionistica del Kgb della Russia comunista in Italia, come appreso anni dopo..
Poi, che dire della sentita necessità che si chiariscano tutti questi spaventosi intrecci e che si approfondisca una volte per tutte il gran tema delle aree della contiguità mai scoperte, cioè quegli ambiti della società, della politica, del sindacato e della cultura in cui le Br hanno sempre goduto di forte simpatia e grande sostegno?
Certo, sono troppe le amnesie, eccessiva la superficialità con cui la gente è indotta da falsi profeti a ragionare di terrorismi.
Sì, questa è la storia infinita della tragica eterna pagina del terrorismo! Oggi si aggiunge la carnascialesca tragicomica commedia pro o contro la detenzione del terrorista Cesare Battisti!!!

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