… siamo ad una svolta epocale?…
Roma, 6 gennaio 2017 – …eh!…sembra proprio animato da “cattive intenzioni”, per gli speculatori, ovviamente, non per il popolo. La prima a cadere nel suo “mirino” è stata la Ford che era pronta per “traslocare” nel Messico. Il Messico ci avrebbe guadagnato occupazione e negli USA sarebbe diminuita.
“Che il Messico, alla sua occupazione provveda da solo”, sembra aver detto Trump; lui si preoccupa della sua disoccupazione e non può perorare le cause altrui. Se la Ford, nel liberalismo statunitense, fosse andata nel Messico, sarebbe stata gravata da tante imposte doganali, che non avrebbe più venduto una automobile. Le sarebbe convenuto? La Ford ha riflettuto bene e, alla delocalizzazione, ha preferito continuare a produrre localmente e questo perché, con i benefici programmati da Trump nelle imposte di fabbricazione, l’esportazione è certamente avvantaggiata e l’economia riprende fiato.
Alla Ford è seguita la General Motor Corporation.
Oggi, ultime notizie in materia, dopo la Ford e la General Motors, è la volta della Toyota. Questa, la Toyota Motor Corporation, è giapponese e il procedimento è al contrario. Forte dei criteri produttivi giapponesi che la fanno essere altamente concorrenziale, rispetto a quelle prodotte nel mondo occidentale, “avrebbe avuto” nelle sue mani anche il mercato degli USA ma, con Trump, è arrivato anche il suo turno. Se vuole vendere negli USA, investa negli USA, altrimenti, sarà gravata da tali tasse doganali, che vendere una sola automobile, rappresenterà un problema. Le battute, ovviamente, non sono queste, ma il ragionamento, il significato e le intenzioni delle operazioni commerciali, si.
A questi provvedimenti aggiunge interventi profondi nella gestione delle banche che mirano in particolar modo a tutelare gli interessi dei risparmiatori.
…beh, che dire di queste prese di posizione autoritarie, ma pur sempre libertarie?
La prima cosa che ci viene nella testa è “…era ora!…” e potremmo continuare dicendo che avremmo bisogno anche noi di provvedimenti del genere, invece di “svendere” agli investitori stranieri le nostre imprese, che una volta erano il vanto del lavoro e della creatività degli italiani.
Perché accade questo?
Le ragioni sono più di una, ma citiamo quella che ha maggiore peso; i sindacati; non “il sindacato”, “i sindacati”. Ho già scritto sull’argomento e, da ex lavoratore, mi sono sempre chiesto e mi chiedo ancora, “se il lavoratore, sia lo scienziato, sia il fattorino delle Poste, è una razza sola, “un lavoratore”, e il “lavoro”, qualunque esso sia, non ha colore politico, è lavoro e basta, perché devono esistere ben tre confederazioni sindacali rispondenti a tre orientamenti politici?”.
La domanda non ha trovato risposta ma questa, in sostanza, sta nelle apparizioni pubbliche della Camusso, di Carmelo Barbagallo e Anna Maria Furlan.
Si avvicina il referendum sul “Job act”, volgarmente detto “Legge del Lavoro”, e loro si mettono a capo della colonna di dimostranti, reggendo un lembo dello striscione di inizio-colonna. Che cosa fanno? Si fanno fotografare dagli operatori della televisione e si “beccano” l’indennità dell’intervento e, poi, a turno, leggono sopra un foglietto scritto da loro, un discorso senza capo né coda, fatto di vacuità, di luoghi comuni, di espressioni in “sindacalese” (sinonimo del “politichese”); per cui, “che cosa fanno?”, assolutamente niente. Proposte? Nessuna, se escludiamo situazioni che di funzionalità non hanno niente e non c’è da meravigliarsi perché il sindacato è questo; chi viene dal lavoro operaio, chi da quello impiegatizio, come potrebbero essere esperti di economia?!…e, per tutelare i diritti dei lavoratori, bisogna conoscere l’economia, eh!!??
Fino ad oggi ho solo visto fermare cicli produttivi, per dare segno di interventi e fare scioperi al contrario, vale a dire nel danneggiamento dei lavoratori, e litigarsi fra di loro il giorno di sciopero.
Oggi, come ho detto in un precedente articolo, Trump e gli USA ci danno una lezione di saper vivere, di economia e, aggiungo, alla luce dei fatti attuali, di strategie economiche perché queste, pure essendo necessarie, non sempre collimano con la scienza economica.
Adesso, su questa situazione che lascia ben sperare, ma noi non siamo gli USA, una considerazione amara. Non possiamo non tener conto del fatto che dappertutto esistono i “poteri forti” (tutto il mondo è paese) e che, non sempre, le disposizioni dei Poteri Istituzionali, collimano con quello che loro vogliono imporre.
I rapporti di forze, ovviamente, variano da paese a paese, ma, in questa dimensione, a qualche lettore attento, l’audacia delle manovre impostate da Trump, ha ricordato l’assassinio di John Kennedy nel 1963 e, pur riconoscendo e apprezzando la validità di tali manovre, ha gettato, su “Il Giornale” di domenica 01/01/2017, un “grido di allarme”. “La divisione tra banche commerciali da banche di investimento, sarebbe una cosa importante e utile per la sicurezza del risparmio, e credo che avrebbe risvolti positivi per l’economia, e tutto ciò avrebbe un effetto imitativo e positivo anche in Europa. Finirebbe così la depredazione (in modo “legale”, ovvio), del risparmio dei cittadini a favore di una banda di criminali, che spopola in Europa e Stati Uniti. L’importante è che Trump non faccia la fine di Kennedy prima di realizzare il suo progetto”
Le argomentazioni, è ovvio, suggeriscono epiloghi difficilmente valutabili e i timori del lettore, conoscendo le situazioni che stanno connotando la nostra storiografia del presente, non sono infondati, perché, ad un determinato livello, per mettere a punto un programma quale quello paventato, non si bada a “spese”; però la delicatezza della valutazione ci suggerisce anche un interrogativo “… siamo alla vigilia di una svolta epocale?…”
Nella situazione esistente nel nostro paese, avremmo bisogno anche noi di un Trump, ma nello scenario che si è creato, è venuto, chiamato dai “poteri superiori”, un Renzi che ha saputo solo essere “radio-comandato” da Napolitano e la statura e la stazza politica di Trump non ce l’aveva, né lui, né altri.