Roma, 18 ottobre – Sappiamo un po’ tutti (e non certo per sentito dire), che quando un personaggio importante affronta un’impresa fuori dell’ordinario, si espone, ineluttabilmente, a giudizi diversi e contrastanti.
Infatti, nel caso che il protagonista riesca a condurre in porto l’operazione con successo, viene definito un coraggioso e lungimirante, mentre qualora si verificasse un fallimento, bene che gli vada, viene tacciato di presunzione e di incoscienza.
La cosiddetta “Legge di stabilità”, presentata dal governo Renzi, si cala perfettamente in questa casistica sia per l’ammontare dei tagli previsti e sia per la guerra dichiarata dagli amministratori locali ostinatamente contrari a qualsiasi forma di ulteriori risparmi nei rispettivi bilanci regionali, provinciali e comunali.
Si tratta verosimilmente della “legge di stabilità” (in passato si chiamava legge finanziaria, nota anche come la “diligenza” che subiva attacchi concentrici da parte delle varie formazioni politiche), più corposa nella storia repubblicana, ben 36 miliardi di euro e tutti incrociano le dita nella ricerca affannosa delle relative coperture.
Nella circostanza sono imprescindibili e determinanti l’unità e la coerenza del Partito Democratico, perché non solo deve manovrare e gestire i propri parlamentari, ma dovrà anche mediare con la pletora dei governatori, quasi tutti dello stesso partito.
Uno dei maggiori sostegni per Renzi è rappresentato dalla “sponda” offerta dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il quale ha più volte detto e ripetuto che le misure contenute nella manovra sono molto importanti per la crescita e lo sviluppo del Paese.
In queste ultime ore sembra leggermente placata “l’ira funesta” del presidente della regione Piemonte, Chiamparino, che rappresenta anche tutti gli altri governatori delle regioni italiane e la sensazione comune è che si voglia arrivare a qualche forma di compromesso.
Conoscevamo un Renzi deciso e determinato, ma in questa occasione ha superato sè stesso, lasciando chiaramente capire che non intende arretrare nemmeno di un centimetro dalle posizioni assunte insieme all’intero governo.
I numeri al Senato sono veramente striminziti e basterebbero poche defezioni per mandare all’aria tutto e gli unici a rimetterci sarebbero gli italiani perché non abbiamo ancora una legge elettorale decente, né altre valide alternative a questo tipo di governo.
A questo proposito corrono delle voci secondo le qual, in caso di estrema necessità, verrebbero in soccorso alcuni senatori del M5S approdati al gruppo misto o per libera scelta o perché espulsi dal movimento di Grillo.
Sulla coraggiosa manovra pesa molto il giudizio della Commissione Europea che dovrà pronunciarsi in questi giorni, ma da qualche indiscrezione trapelata, sembrerebbe scontato il placet sia pure accompagnato da alcune raccomandazioni di tener fede agli impegni precedentemente assunti.
Sarà questo il motivo per cui Renzi bacchetta gli oppositori interni ed ammonisce sindacati e rottamati a non mettersi di traverso sul piano delle riforme? Lo sapremo molto presto.
del Direttore.
Siamo certi però che, pur tappandosi il naso, tutti obbediranno all’ordine di scuderia. Il rischio di andare a casa e perdere la poltrona certamente non è molto allettante ed i principi e le pretese … vadano a farsi benedire!