INGV: Arcipelago delle isole pontine

Al centro del Mar Tirreno, di fronte alla costa laziale, si scopre l’arcipelago delle isole pontine.

La presenza dell’uomo sull’isola di Ponza risale al 5000 a.C. La storia ricorda quest’isola per l’esilio di Agrippina e la sorella Livilla dopo aver tentato una congiura contro l’imperatore romano Caligola. L’arcipelago delle isole pontine si trova a circa 30 kilometri dalla costa tirrenica in corrispondenza di Anzio. E’ facilmente raggiungibile con un aliscafo o da Anzio o da Terracina. L’arcipelago è costituito dalle isole di Ponza, Palmarola, Zannone, Ventotene più lo scoglio di Santo Stefano. Pur essendo l’intero arcipelago di origine vulcanica, le isole si sono sviluppate in contesti geologici diversi ed hanno anche età geologiche diverse. Le tre isole settentrionali di Ponza, Zannone e Palmarola, infatti, risalgono alla fine del Pliocene, essendosi formate all’incirca 2,5 milioni di anni fa, e sono state  costruite da eruzioni sottomarine di magmi acidi (ricchi, cioè in SiO2), mentre le isole di Ventotene e Santo Stefano sono più recenti e dovuti ad eruzioni di magmi meno ricchi in SiO2 e perciò meno viscosi.  Per i geologi, le isole settentrionali di Ponza, Palmarola e Zannone rappresentano un ottima palestra di studio perché costituiscono un raro ed interessantissimo esempio di vulcanismo acido sottomarino. Sono state studiate dai geologi di tutto il mondo e le contese scientifiche sulla dinamica della loro evoluzione, si sono protratte fino ai nostri giorni. I lavori più recenti dimostrano che le tre isole sono quel che resta di un complesso di cupole di magmi acidi, detti domi, estrusi in ambiente subacqueo lungo fratture orientate prevalentemente NE-SW che a loro volta facevano parte del sistema di faglie e fratture che nel Pliocene hanno controllato l’evoluzione del margine costiero del Lazio in relazione all’apertura del bacino tirrenico. I magmi acidi sono molto viscosi e quindi una volta estrusi tendono a non scorrere; si accumulano invece vicino al punto di emissione costruendo delle vere e proprie cupole. Questo complesso processo in ambiente subacqueo è ulteriormente complicato dal brusco raffreddamento che il magma subisce a contatto con l’acqua del mare.  Nelle isole di Ponza, Palmarola e Zannone è possibile analizzare le varie fasi di costruzione di un domo sott’acqua che sono visibili negli affioramenti esposti lungo le falesie delle isole. La roccia bianca che costituisce la maggior parte delle falesie delle isole è ialoclastite, cioè vetro vulcanico, nient’altro che il magma bruscamente raffreddato e altamente frammentato a contatto con l’acqua.  Il processo di frammentazione del magma è ovviamente molto efficiente nelle prime fasi di estrusione. Mano a mano che l’ammasso di ialoclastite  aumenta di spessore e raggiunge proporzioni importanti, diviene un involucro protettivo nei confronti   dell’ulteriore magma in fuoriuscita. Il magma allora può raffreddare più lentamente, si frantuma meno e nella massa ialoclastitica si conservano dei frammenti del magma raffreddati come lava vetrosa che prende il nome di ossidiana. Lungo la falesia della famosissima spiaggia di Chiaia di luna, ma anche in quelle del Frontonee e a Cala di Inferno, si possono osservare varie facies ialoclastiche che mostrano diversi gradi di velocità di raffreddamento: dalle facies ialoclastica finache appare bianca e costituita da minuscoli frammenti di vetro a quella raffreddata meno rapidamente dove mescolati ai frammenti vetrosi bianchi possiamo riconoscere delle piccole sfere di ossidiana a quella ancora meno rapidamente raffreddata dove il costituente principale è rappresentato dall’insieme delle sfere ossidianacee. Queste piccole sfere, note con il nome di perlite, sono il risultato del processo di raffreddamento del magma a contatto dell’acqua. Infatti,  in generale quando il magma si raffredda bruscamente tende a contrarsi in modo sferico. La massa sferica, contraendosi, si frattura in modo sia radiale che tangenziale. In queste fratture può insinuarsi l’acqua che ancora una volta provoca l’ulteriore fratturazione del vetro. Spinto all’estremo, questo processo porta alla formazione della ialoclastite, dove le piccole sfere di ossidiana non sono più riconoscibili, mentre se il magma si raffredda meno rapidamente, il suo processo di frammentazione si può arrestare in una fase in cui le sfere rimangono intatte e sono perfettamente riconoscibili. Le facies ialoclastiche infine riescono ad isolare i condotti di alimentazione del magma che qui si raffredda come lava. Questi sono i dicchi, grosse fratture verticali che tendono ad allargarsi verso l’alto e che sono appunto fatti di lava a volte con fessurazione prismatica. Questi grossi dicchi attraversano le facies ialoclastiche bianche e spesso emergono dalle falesie perché la lava è molto più resistente all’erosione rispetto alla  ialoclastite. Il contrasto di colore delle pareti di ialoclastite bianca tagliata dai dicchi neri, è il fascino principale delle coste di Ponza e Palamarola e anche il rischio principale per i bagnanti. Infatti, l’erosione intaccando la ialoclastite ai margini dei dicchi, alla fine toglie loro il sostegno e grossi pezzi di lava  possono staccarsi dalle falesie e crollare sulle spiagge. I dicchi rappresentano sia i condotti di alimentazione principale dei domi, sia le fratture riempite di lava all’interno dei domi stessi. Se si osserva attentamente una cartina geologica dove i dicchi sono stati disegnati con un colore diverso da quello che indica la ialoclastite, ci si accorge che i dicchi hanno una disposizione circolare  rispetto ad un centro che coincide con un alto topografico. In questo modo si possono individuare i singoli domi, con i loro condotti di alimentazione principale e le fratture tangenziali che anch’esse diventate dicchi ne costituiscono la struttura secondaria. In questo modo sono stati individuati almeno tre domi principali nell’isola di Ponza: il più grande e  meglio conservato ha il proprio centro a Monte Pagliaro. Il cuore del domo è parzialmente esposto in una  cava abbandonata, ora utilizzata come discarica. Al domo di Monte Pagliaro, appartengono tutti dicchi visibili lungo le falesie di Chiaia di luna, del Frontone, del Porto e anche lungo la strada intorno al paese di Ponza. Un altro domo, anzi due domi coalescenti tra loro avevano un centro in mare subito al largo della costa di Cala dell’Acqua. In questo caso si vede molto bene come i domi fossero allineati lungo una frattura NE-SW. A questi due domi fanno riferimento i dicchi visibili a Cala Feola, Cala dell’Acqua, Cala d’Inferno e Cala del Core.  A Cala dell’Acqua si riconosce la facies più prossima al dicco di alimentazione, proprio in prossimità della vecchia miniera di caolino.  Il caolino si è infatti molto probabilmente prodotto per alterazione anche ad opera dei fluidi idrotermali nella zona del condotto principale del domo. A Cala dell’acqua si vede anche un altro elemento importante: un grosso piano di scivolamento della massa ialoclastica. Questi piani si possono sviluppare contestualmente alla crescita del domo.  Mano a mano che il domo cresce in altezza ed il magma spinge dall’interno per uscire dal suo condotto, la massa ialoclastica viene sempre più innalzata ed inclinata fino a che perde stabilità ed inizia a scivolare verso il basso lungo piani debolmente inclinati.  Questo processo serve a stabilizzare il domo che in questo modo allarga la sua base rispetto alla sua altezza e può proseguire nella crescita. Infine un terzo domo si riconosce nella parte più settentrionale dell’isola di Ponza, in corrispondenza di Piano d’Incenso. In realtà questo domo è diverso dagli altri appena descritti. Si tratta infatti di un criptodomo e cioè della risalita del magma in un ambiente sub-superficiale, senza una diretta estrusione a giorno.  La crescita del domo è avvenuta in realtà al di sotto della superficie terrestre. Il magma spingendo ha poi innalzato la copertura delle rocce più superficiali fino a riuscire ad emergere, ma già in uno stato più o meno lavico. A Piana d’Incenso infatti non si trova la ialoclastite fine bianca ma una lava fortemente brecciata in cui spesso si riconoscono strutture di flusso. Anche la superficie piatta dell’area è dovuta a questo processo. La facies di lava brecciata che si osserva a Piano d’Incenso è molto simile a quella che costituisce l’intera isola di Zannone. Infatti anche Zannone è un criptodomo. In questo caso la struttura del domo è molto ben visibile e sottolineata dalla presenza di un enorme dicco a forma di stella di mercedes proprio nella parte centrale dell’isola. Lungo la costa settentrionale dell’isola, in prossimità del vecchio faro, si possono osservare le relazioni tra la crescita del domo e le deformazioni inflitte al substrato sedimentario entro cui il magma si è intruso. Le unità sedimentarie appartenenti alla successione umbro-sabina e  costituite da calcari, dai calcari marnosi della Scaglia cretacica ed eocenica  e dalla successione dei terreni dei flysch  appaiono deformate e  basculate  fino a che gli originari strati orizzontali sono arrivati ad avere una giacitura verticale; le unità sono inoltre   scivolate verso il basso lungo piani a basso angolo, perdendo i loro originari rapporti stratigrafici.  Il domo di Zannone infatti si è originato con l’intrusione del magma tra le unità calcaree e quelle flyshoidi. Il domo crescendo ha spinto sempre più verso l’alto le unità sedimentarie verticalizzandole e portandole in uno stato di instabilità che alla fine ne ha causato lo scivolamento gravitativo verso il basso. Un discorso a parte merita la parte più meridionale dell’isola di Ponza, dove si trova il Monte La Guardia. Infatti questa parte dell’isola  è diversa da un punto di vista geologico dal resto dell’isola ed è anche più giovane. Monte La Guardia, infatti è una gigantesca colata di lava trachitica emessa circa 1 milione di anni fa a conclusione dell’attività di un domo, questa volta emesso in ambiente subaereo. Dunque la parte meridionale dell’isola di Ponza si è formata  quando l’isola era ormai emersa e la fase dei domi sottomarini creati dal magma acido si era già conclusa. Le prime fasi eruttive del domo di Monte La Guardia si sono verificate quando l’isola doveva più o meno essere ancora a pelo dell’acqua ed infatti l’acqua del mare ebbe più volte accesso al condotto producendo violente eruzioni idromagmatiche i cui depositi sono visibili lungo le falesie degli Scotti. Questa fase vulcanica di Ponza si collega con quella che ha originato poco a sud anche le isole di Ventotene e Santo Stefano. Ventotene è quel che resta di un grande vulcano, in parte collassato in mare. Non si conosce l’età esatta del vulcano me è probabilmente stato attivo insieme al domo di Monte La Guardia di Ponza e la sua attività è proseguita fino a circa 400-300.000 anni fa.  L’attività di Ventotene è stata essenzialmente esplosiva anche se non mancano le colate di lava. L’ultima eruzione potrebbe aver causato il collasso della parte terminale dell’edificio. Un ultimo dato interessante che merita attenzione è la bella superficie di terrazzamento marino ben visibile in cima alla falesia di Chiaia di Luna. Questa superficie testimonia  il livello del mare circa 90.000 anni fa. La superficie è stata innalzata poi alla quota attuale per problemi di variazione del livello del mare, isostasia e forse anche tettonica.

 

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