Roma, 13 settembre 2020 – Torna in scena Antonio Pappano; con l’inconfondibile sorriso che lo caratterizza e la voce spalmata di miele, si rivolge al pubblico osannante, quel “Caro Pubblico” con il quale il dialogo si veste d’amore da sempre per ringraziarlo della forza della sua presenza e per tessere quell’affetto sinergico che sa prendere e dare con la medesima intensità.
Assieme all’amato direttore arriva il pianista Francesco Libetta perché il programma messo a punto in questo scorcio d’estate, ha il punto focale nell’esaltante “ Concerto n.1 per pianoforte e orchestra” di Felix Mendelssohn che si muove con l’allure ottimistico di un sorriso aperto sulla vita in un clima di giocondità, di gioia di vivere. In esso si riversano le aspettative dei ventidue anni del compositore: una carica di fiducia e di giovinezza. Proprio per la sua freschezza e immediatezza, l’opera sembra nata da un impulso subitaneo, ma in realtà è stata a lungo rielaborata in quei recessi segreti dove l’estro creativo si alimenta di silenzi. Il primo nucleo del Concerto, infatti, risale al 1830 durante un viaggio in Italia del giovane Felix, un apprentissage culturale che si svolse fra Venezia, Firenze, Roma e Napoli. L’anno dopo, lo splendido lavoro fu completato a Monaco. Dopo il Primo movimento “Allegro con fuoco”, determinato da un attacco dal brillante virtuosismo dell’orchestra, instaurato il dialogo con il solista al piano, attraverso soavi modulazioni colme di lirismo, il Concerto sfocia nelle temperature miti e delicate dell’ Andante” con i violoncelli e le viole impegnate a fronteggiarsi con il pianoforte, con una variegata dovizia di melodie la cui bellezza è sostenuta dalla ricchezza armonica. In controluce traspaiono reminiscenze beethoveniane. Nel “Molto allegro e vivace”, il terzo movimento, il solista attinge a piene mani alla propria capacità virtuosistica perché il suo Rondò sia quanto di più spumeggiante, travolgente si possa offrire al pubblico. Proprio questi effetti virtuosistici sono il banco di prova del solista che voglia proporre questo splendido brano, solista cui viene richiesta una tecnica perfetta sia nell’amalgama tra strumento e orchestra (soprattutto quel tessuto sonoro di violoncelli e viole), sia negli “a solo”. Non c’è distacco fra i diversi movimenti del concerto che si segnala per l’assenza di soluzioni di continuità, così come anche per quel riproporre nel finale, una parte del materiale tematico dell’incipit.
Certamente, un ruolo considerevole del successo del programma, nella certezza della calibratura perfetta dei suoni orchestrali, effetto primo dell’intesa empatica fra la compagine ceciliana con un grande Pappano, è stata la presenza di Francesco Libetta, uno dei più raffinati interpreti della sua generazione, elegante artista poliedrico, dalla considerevole cultura che offre alla musica i suoi talenti di interprete come pianista, direttore d’orchestra (con un repertorio sinfonico e operistico, nonché come direttore di balletti classici narrativi) e compositore, sono noti suoi lavori acustici, cameristici e orchestrali e il suo impegno come autore di composizioni per il teatro e il cinema. Libetta ha un palmarés ricco di prestigiosi riconoscimenti come il “Diapason d’Or”. Molto applaudito per la splendida esibizione, Libetta ha regalato al pubblico un bis con un pezzo virtuosistico per la mano sinistra.
Il programma della serata si era aperto per un omaggio ai 250 anni della nascita di Beethoven, con l’ouverture “Re Stefano” che con “Le Rovine d’Atene” era una delle due opere scelte per inaugurare il teatro tedesco di Pest (la parte più antica di Budapest), scritte dal prolifico poeta August von Kotzebue. Re Stefano, fu un magnanimo sovrano medievale, a lui si deve la fondazione dello Stato e della Chiesa ungheresi tra la fine del Novecento e l’inizio dell’anno Mille. L’ouverture di Beethoven, spesso sfiorata da un giudizio critico non del tutto positivo, obbedisce alla logica di una musica per la scena, per accompagnare cioè i personaggi nelle evoluzioni dei momenti scenici e non pretende di coglierne i contenuti spirituali (oggi si direbbe la loro psicologia). Nell’ouverture si contrappongono due situazioni, una lirica e a tratti con sfumature intimistiche e l’altra più eroica e possente.
Il concerto si chiude sulle note della Sinfonia in do maggiore K.551, nota come “Jupeter” che brilla della grandezza di Mozart con quel suo poderoso attacco iniziale.
Tutta la sinfonia è testimonianza della straordinaria arte della variazione tematica. Scritta nell’estate del 1788, un momento assai difficile nella vita del compositore, la “Jupiter” regala nell’ “Allegro vivace” iniziale ricche suggestioni sonore che vanno dalle atmosfere imponenti quasi tragiche, alla conclusione del movimento luminosa e vibrante.
Il secondo movimento “Andante Cantabile” non lascia subito presagire quelle dissonanze e quelle sincopi dense di agitazione che si alternano a momenti di serenità e che per l’equilibrio perfetto raggiunto, fanno di questo una delle vette dell’estro compositivo di Mozart.
I due movimenti successivi, il “Minuetto” e il “Trio” hanno un allure gentile, una sorta di pausa che prelude al finale con i suoi spettacolari effetti contrappuntistici, giochi sonori a rincorrersi che Pappano offre al “caro pubblico” su uno scintillante piatto d’argento.