Roma, 28 gennaio 2019 – Il trionfo della musica dodecafonica, la sconfessione della cerebralità che l’aveva lungamente perseguitata e l’acquisizione definitiva da parte del pubblico di un nuovo linguaggio: questa in sintesi l’esperienza nata dalla distruzione della tonalità e diventata viva nelle pagine bellissime di questo “Concerto per violino ‘alla memoria di un angelo” di Alban Berg che, mentre ricorda la morte prematura della giovane figlia di Alma Mahler e del suo secondo marito, il celebre architetto Walter Gropius. creatore dello stile Bauhaus, diventa anche il canto del cigno di uno dei padri della dodecafonia, la sua ultima composizione.
In quell’albore del 1935, il violinista Louis Krasner, riallacciandosi ad una antica usanza, chiese al compositore di musicare un concerto per strumento solista. Berg era intento a scrivere la sua ‘Lulù’, e tardò a dare una risposta, fin quando venne scosso, come tutto il milieu culturale dell’epoca che gravitava attorno a Vienna, dalla notizia della morte il 22 aprile del 1935 della diciottenne Manon Gropius, colpita dalla poliomielite.
La morte della fanciulla che sembrava impersonare la gioia di vivere e la spensieratezza, che aveva allietato tutti con le sue danze e la sua sprezzante allegria e giovinezza aveva anche provocato una scossa emotiva in Alban Berg che, subito, lasciò da parte l’opera Lulù per dedicarsi al suo unico concerto per strumento solista e orchestra che divenne perciò un requiem senza parole. Che fu terminato rapidamente, il 16 luglio. E subito apparve come una sintesi fra la musica del passato (basata sulla tonalità) e quella che si credeva la musica del futuro, ovvero la dodecafonia. Basata su due movimenti, la composizione presenta fin dall’inizio un clima espressivo ansioso determinato dai violini accompagnati da viole, fagotti e contrabbasso e un allure di danza: il motivo di un tango, frammenti melodici di una canzone popolare della Carinzia, ma anche richiami alla musica religiosa della tradizione rinascimentale e barocca e un hommage a Bach, alla corale ‘Es ist Genug’( Ne ho abbastanza) della Cantata ‘O Ewinhkeit, du Domnnerwort’ (O Eternità, parola tonante ).
Una composizione di grande fascino, questo concerto, che sollecita una cura particolare nell’esecuzione e abbisogna di un artista che sappia coniugare i due mondi che ingloba, quello classico della cultura musicale viennese e quello innovativo, nato dalla rivoluzione dodecafonica di Schoenberg. Gil Shaham, considerato uno dei più grandi violinisti di oggi, può contare su uno straordinario talento che si misura anche con la musica contemporanea (un suo progetto di vivo interesse è quello di suonare tutti concerti per violino e orchestra degli anni ’30), quello stesso che gli ha permesso di rendere la commozione e la gioia, lo sbigottimento e la consapevolezza della giovinezza lieta troppo presto perduta.
Il Concerto per violino di Berg è l’ultima composizione del musicista che non avrebbe potuto assistere al battesimo avvenuto a Barcellona il 19 marzo del 1936. Lo spettacolo ha messo in luce la perfetta simbiosi con l’orchestra egregiamente condotta da Sir Antonio Pappano, che come spesso accade, quando dirige musica contemporanea, si è soffermato a spiegare al pubblico le caratteristiche delle opere in programma, improvvisando una lezione apprezzatissima
Destino assai simile è quello della Messa da Requiem K626 in re minore di Mozart, anch’essa destinata ad essere un’ultima composizione, rimasta incompiuta quando Amadeus lascia questa terra il 5 dicembre del 1791. Qualche mese prima gli era stato commissionato dal conte musicista Otto Erich Deutsch un requiem per onorare la memoria della giovanissima moglie, proprio in un momento in cui egli era impegnato in una intensa attività con almeno trenta opere da portare a termine, fra cui ‘Il Flauto magico’ e ‘La clemenza di Tito’.
Il Requiem fu completato da alcuni allievi (in particolare Xavier Sussmayer). Ed è un’opera grandiosa e affascinante anche per la leggenda che si è raggrumata attorno ad essa, attivata dal celebre film ‘Amadeus’ di Milos Forman, secondo il quale committente potrebbe essere stato Salieri, l’eterno nemico di Mozart, cui Puskin attribuiva un odio farcito da profonde invidia che lo avrebbe portato fino al veneficio del rivale.
Ma già Costanze, moglie di Mozart, aveva affermato come il Maestro durante una gita al Prater, il parco divertimenti di Vienna, avesse presentito di scrivere il Requiem per se stesso. Una forma di esorcismo scaramantico? E tuttavia, davvero il Requiem è il canto del cigno del genio salisburghese.
Al di là della fioritura di ipotesi, il Requiem resta una pagina di grandissimo spessore, una sottolineatura sonora eccelsa per la drammaticità del viaggio verso l’Ignoto, quando la speranza dell’uomo lievita sulla rotta del perdono misericordioso e la creatura si affida al Creatore. Grandissima la prova del Coro, imperante sotto la guida di Ciro Visco, splendidi i quattro solisti (il soprano Mariangela Sicilia, il mezzosoprano Sonia Prina, il tenore Frédéric Antoun e il basso profondo Georg Zeppenfeld).
Straordinaria la direzione d’orchestra di Pappano, nella prima prestazione del nuovo anno, attenta a marcare i contrasti dinamici, ad aprire uno spiraglio all’interpretazione del brano con la carica della sua sensibilità.