Roma, 12 giugno 2020. Ci siamo. Ancora tre giorni e l’Albertone nazionale, al secolo Alberto Sordi, compie 100 anni.
Sì compie, perché Sordi, come Totò, la Magnani ed altri grandissimi artisti nostrani o stranieri, non è scomparso anagraficamente nel 2003; è presente negli atteggiamenti, nelle battute, nel modo di essere dell’italiano medio che tanto sapientemente ha rappresentato in carriera.
Attore e regista, Sordi inizialmente fatica ad essere compreso perché la sua comicità è cattiva, cinica. La sua prima popolarità nasce alla radio, che nell’immediato dopoguerra è come oggi la televisione, entrando nelle case degli italiani con personaggi come il compagnuccio della parrocchietta, il conte Claro e Mario Pio.
Al cinema nel film Mamma mia che impressione del 1951 riprende il ruolo del compagnuccio, ma ancora stenta a sfondare, nonostante l’esilarante tormentone <<signorina Margherita, signorina Margherita…>>. L’esplosione avviene nel 1953, dopo buoni riscontri ottenuti da I vitelloni dell’amico Fellini, quando nel film a episodi Un giorno in pretura nasce il leggendario Nando Mericoni, detto l’amerecano, bullo romano di periferia dedito, nudo, ai bagni nella marana. Proprio da questa rappresentazione, bissata l’anno dopo nel 1954 con Un americano a Roma, nasce il riconoscimento popolare che tanto agognava lanciando quel linguaggio romanesco, non il puro dialetto, che poi caratterizzerà gran parte della nostra cinematografia. Da non dimenticare, poi, “Il Marchese del Grillo” con la celebre frase “Perchè io so io e voi non siete un c…o!”
Prima ancora si era distinto nel doppiaggio di Oliver Hardy, di Pedro Armendariz, l’attendente del colonnello Turner, uno scontroso Henry Fonda ne Il massacro di Fort Apache, curiosamente di Marcello Mastroianni nel film Domenica d’agosto del 1950.
Sordi ha accompagnato e interpretato l’arte di arrangiarsi e rimane difficile immaginare un altro artista capace di rappresentare con tanto cinismo la tragicomica evoluzione sociale dell’italiano medio dal dopoguerra in poi.
Più di tanti suoi colleghi ha sempre avuto la massima attenzione a scegliere i film da interpretare, tenendo sempre a riferimento la nostra società, dall’ottica del cittadino normale che la storia non la fa ma la subisce. Sordi nasce comico e finisce drammatico, come tutti i comici di razza. Monicelli, con cui aveva una grande intesa, insisteva nel dire che i grandi attori comici sono grandi anche nel dramma, mentre non è vero il contrario. Detenuto in attesa di giudizio del 1971 ne è la prova lampante.
Anche nella regia Albertone ha spaziato su vari argomenti, dal civettuolo Fumo di Londra, con una splendida colonna sonora composta dallo stesso Sordi, You never told me, a Amore mio aiutami, a Il comune senso del pudore, a Tutti dentro, tanto per citarne alcuni.
E non potevano mancare partecipazioni in televisione; da ricordare l’ospitata in Studio Uno del 1966 quando incensa di complimenti Mina (<Bella Minona! Sei ‘na fagottata de robba!>) e si esibisce con le gemelle Kessler in un numero di danza in cui le sorelle gli pestano i piedi con le loro <fette> fuori misura.
E’ impossibile tratteggiare in poche righe quello che la maschera Sordi ha rappresentato nella storia della settima arte ed autori più illustri del sottoscritto ne hanno a più riprese magnificato le gesta.
Mi piace solo poter immaginare che al suo funerale, verificando le migliaia di persone al seguito, avrebbe detto: <Ma li mort…ma ancora qui state?…e annatevene no…>.