Roma, 2 maggio – Racconti che utilizzano la verità e fatti reali che prendono spunto dalla fantasia: le parallele che conducono ai personaggi e agli eventi di narrazione che per un attimo solo sembrano sfiorarsi e poi si allontanano in opposte direzioni. E’ questo che rende di drammatica attualità la storia di questo teppistello che si è inventato un suo slang deformando il linguaggio per chiudersi in un bozzolo e non permettere l’accesso al pensiero. Lui, Alex, che Anthony Burgess ha voluto protagonista del suo “Arancia Meccanica”, che quel genio della macchina da presa che si chiamava Stanley Kubrick rese immortale e che è recentemente ritornato dall’ inferno dove sono relegati i personaggi di fantasia per diventare ispiratore di due sbandati che a Roma hanno attratto con la lusinga di qualche banconota un giovane per provare il piacere di uccidere e di assistere alla morte di un coetaneo e registrare le emozioni che potessero provare.
Così al Teatro Eliseo, Alex il quindicenne, vive la sua realtà di palcoscenico, dopo essere disceso dal mondo di celluloide, lasciandosi travolgere dalla ossessione per Ludwig van, per quel finale della Nona Sinfonia, l’Inno alla gioia di Schiller, oggi diventato voce dell’Europa. Lui, il drugo, capo degli altri drughi (termine arcaizzanti del NADSAT, slang inventato per distorcere la realtà), che si è rivestito del corpo di Daniele Russo, una reincarnazione che sfrutta la voce, il dinamismo, la mimica con quel ghigno infernale, la risata, la sua interpretazione generosa e adrenalinica, sotto la sferza della eccellente colonna sonora messa a punto da Morgan, utilizzando la sua pirotecnica inventiva che si espande sulle scene che sono il film, ma anche e soprattutto il testo drammaturgico, di cui rispettano i tempi. Ed ecco l’incubo prender forma, le atmosfere oniriche e surreali che animano la visione della vita e della realtà di Alex farsi largo tra il pubblico, catturarlo e spingerlo sulla stessa china di gratuita aggressività, sulle ossessioni per le musiche di Beethoven, il dio Ludovico Van, che diventerà motore principale e detestato poi della cura deprogrammante dalla violenza, che subisce Alex per vomitarequel suo mondo interiore, per ristabilire corrette percezioni della realtà.
Dopo un inizio urlato, bulimicodi immagini che si sovrappongono ad altre immagini, di parole inventatecoperte dalla musica assordante, e di movimenti sconnessi, prende l’avvio questo spettacolo che si muove fra allucinate atmosfere alla Brecht, in un bianco e nero manicheo, seguendo la scansione di Kubrick, ma come atto d’omaggio e che si fa forte di una scena particolarmente interessante con un fronte che come una scatola si allontana e approssima al boccascena determinando un prima e un poi. Dai lati due fori tondi come i finali di due tubi lasciano uscire fuori come topi da una fogna Alex e i suoi drughi per penetrare nella casa dello scrittore e rubare, stuprare, devastando per il gusto di farlo. La scena che da sola ha larga parte nella riuscita dello spettacolo è firmata da Roberto Crea, ottimi anche i costumi di Chiara Aversano, in uno street style gotico/futuristico, commistione persino geografica e culturale, dove un colbacco può coesistere con un cappellino da baseball made in USA, tutti virati sul grigio e nero con solo un tocco di colore acceso nell’abito da sera giallo della cantante che intona l’Inno alla Gioia del Finale della Nona di Beethoven.
Alexe i suoi tre amici (in origine erano quattro), per “divertirsi” violentano, saccheggiano, ammazzano chiunque capiti a tiro. I ragazzi frequentano il “Latte bar”, con la sua insegna inquietante con l’occhio di Dio chiuso in un triangolo sottostante alla scritta : “il latte te lo do io”, dove l’innocente bevanda viene arricchita da mescalina. Ma qualcosa nel gruppo si sfalda e Alex si ritrova ristretto in carcere, soggetto di un esperimento terapeutico, un programma rieducativo del Governo Britannico voluto dal Ministro degli Interni, chiamato Metodo Ludovicoche consiste nel vaccinare la brutalità con l’incessante proiezioni di immagini violente. Ma quando uno di coloro che insorgono contro il metodo riconosce in Alex lo stupratore della moglie che in seguito si era suicidata, nulla salva il drugo dalla sua vendetta. Ottima la scelta del regista Gabriele Russo di raccontare con l’effetto straniante del ralenti ogni azione violenta.
Bravissimi tutti in scena e profondamente motivati, con Daniele Russo anche Sebastiano Gavasso, Alessio Piazza, Alfredo Angelici, Martina Galletta, Paola Sambo, e Bruno Tramice.