Roma, 7 settembre 2022.
La ricorrenza.
In Italia cinquant’anni fa, negli Stati Uniti già otto mesi prima, esce un film-capolavoro presentato con questo incipit: Le avventure di un giovane i cui principali interessi sono lo stupro, l’ultra-violenza e Beethoven.
Il film in questione è Arancia meccanica, diretto da Stanley Kubrick.
La storia.
Alex è un giovanotto i cui interessi sono la musica classica, specialmente Beethoven, lo stupro e quella che viene definita ultraviolenza.
E’ a capo di una piccola banda di teppisti, da lui chiamati Drughi, con cui pratica violenze di ogni tipo al di fuori di ogni moralità.
Una di queste follie criminali lo porta ad uccidere una donna, moglie di uno scrittore importante.
Viene di conseguenza arrestato e condannato ad una lunga detenzione.
Dopo un po’ di tempo viene sottoposto al trattamento “Ludovico”, una tecnica sperimentale di condizionamento psicologico promossa dal Ministro dell’Interno.
E’ un metodo che pratica il lavaggio del cervello, pensato dal governo per combattere la criminalità.
Alex è fortemente condizionato dal metodo “Ludovico” e si trasforma, nel tempo, in “non violento” e fatalmente finisce vittima di chi la violenza continua a praticarla.
Diventa un caso nazionale, quasi un eroe, e, man mano, rientra in possesso della sua condizione psico-fisica veicolando la sua aggressività in maniera funzionale al potere.
Curiosità.
Dopo la fantascienza futuristica di <2001: Odissea nello spazio>, Stanley Kubrick trae dal romanzo di Anthony Burgess, <A Clockwork Orange>, un’opera “shock”.
In una Londra proiettata nel futuro Kubrick sviluppa temi morali e psicologici.
La liberazione sessuale, l’esplosione della rabbia giovanile, le prime droghe sintetiche, sono temi che Kubrick tratta con geniale lucidità.
La tecnica di ripresa “a scalare”, cioè che indietreggia, nella sequenza che ci mostra la scenografia depravata del Korova Milk Bar, dove Alex e i suoi Drughi sorseggiano il “latte più”, è originale e spettacolare.
Le scene di violenza cruda, alimentate dalla musica, sono necessarie per avallare la forza emotiva del film.
Particolare l’idea degli abiti indossati da Alex e i suoi Drughi, ossia tenute da cricket bianche con guanti e protettore inguinale indossato però sopra la tuta.
Anche le ciglia finte sono scelte in maniera casuale, come pure la bombetta usata per sfottere gli uomini d’affari della City.
A fronte di un costo di 2,2 milioni di dollari, solo nell’America del nord il film incassa più di 26 milioni di dollari.
Protagonisti.
Grande e indiscusso protagonista della pellicola è Malcolm McDowell, nella parte di Alex, perfetto in tutti i sensi e reso quasi immortale per la performance.
McDowell, non ancora trentenne quando interpreta il film, esplode letteralmente nel firmamento internazionale pagando però il prezzo di venir chiamato sempre per recitare personaggi simili.
Come abbiamo già evidenziato per altre recensioni cinematografiche anche il ruolo di McDowell è ampiamente valorizzato dal doppiaggio, in questa circostanza di Adalberto Maria Merli.
Particolare la cura dell’adattamento italiano perché il testo originale, oltre ad un inglese dialettale, riflette anche di alcuni termini di origine slava inventati e ripresi direttamente dal romanzo di Burgess.
Ottimi gli altri caratteristi di contorno a McDowell come Patrick Magee, il marito scrittore della signora uccisa da Alex.
Michael Bates, la strampalata guardia che segue Alex nel periodo di detenzione.
Madge Ryan, la dottoressa del metodo “Ludovico” e Anthony Sharp, curioso Ministro dell’Interno che sostiene Alex nella parte finale della sua riabilitazione.
Insomma dallo shock creatosi all’uscita del film oggi, passati cinquant’anni, rimane un bel pugno nello stomaco…