Roma, 9 marzo 2017 – Il problema sta divampando in tutta la sua drammaticità ed ha sviluppi che si innervano nel senso di incomunicabilità e di pericolo che aleggia ormai nelle nostre realtà urbane. In breve, si potrebbe riassumere citando le difficoltà che deve affrontare una società occidentale che si trovi immersa quasi senza preavviso in un multiculturalismo senza regole. Una società che non sa tutelare e difendere la propria cultura, e dove chi arriva dalle più disparate regioni del mondo non solo non è disposto a modificare e adeguare al nuovo contesto socio-geografico i propri usi, costumi e tradizioni, insomma le proprie convinzioni, ma cerca, anzi, di imporle forzosamente ai contesti del paese ospitante. Ne nasce un guazzabuglio ingestibile e dissonante che si evidenzia con più vigore in un ambito per forza di cose ristretto come quello di una scuola di periferia. Questo è il problema scottante agitato con linguaggio ironico e con molti sprazzi di umorismo da “Banlieu”, ovvero“L’ora di ricevimento”, il bel testo di Stefano Massini, commissionato e prodotto dallo Stabile dell’Umbria, che il Teatro Eliseo mette in cartellone per la regia di Michele Placido, che definisce il lavoro “un instant-theatre che fotografa la crisi attuale. E aggiunge: “ È giusto che avvenga in una scuola: è l’incubatrice dei futuri cittadini”.
L’autore, ispirato dal clima che si registra in Francia, a cominciare dal massiccio arrivo dai Territoires (ovverosia i paesi del Nord Africa), di immigrati maghrebini, racconta: «Nel 2011 ero a Tolosa per lavoro e conobbi una professoressa che insegnava in una scuola sociale nella banlieue di Les Izards dove fra l’altro è cresciuto il giovane franco-algerino che l’anno dopo fu l’artefice di una strage. Ho scritto il testo quando, in seguito agli attentati avvenuti in Francia, ho ripensato alla testimonianza di quell’insegnante che mi descriveva il complicato rapporto con gli studenti e con i loro genitori». Stefano Massini adotta un linguaggio che utilizza una tavolozza ricca di colori, trovate divertenti e momenti di ironia e di comicità a volte grottesca, altre più epidermica, per mitigare e alleggerire la crudezza della realtà raccontata, che esplode tuttavia nel finale con la confessione inattesa e amara di Ardeche.
È la Banlieu di Tolosa a fare da scenario al dramma, imperniato sulla figura e l’esperienza didattica del cinico e disilluso Professor Ardeche, che insegna nella scuola di Les Izards materie letterarie, cercando una impossibile amalgama per una classe formata da una miscela esplosiva di razze e culture costretta a convivere in una “scatola d’intonaco” per molte ore.
Ardeche è un uomo di mezza età, che da anni lavora senza gratificazioni in questa scuola di frontiera, avamposto della società civile, in una realtà complessa, a contatto con allievi spesso ostili, figli di immigrati nordafricani, arabi, polacchi o indiani. Ormai il suo atteggiamento oscilla fra la stanchezza, la rassegnazione, il disincanto, la frustrazione e un acuto cinismo con il quale riesce ad occultare la consapevolezza dolorosa della propria impotenza di fronte alla sfida di una possibile convivenza, quello stesso cinismo che gli ha fatto trasformare i suoi allievi in una sorta di macchiette o personaggi paradigmatici di un campionario umano da identificare non più per cognome ma con soprannomi attribuiti in virtù del banco scelto in classe. Così c’è un ‘primo banco’, ossia chi cerca l’attenzione dell’insegnante, un ‘panorama’, postazione vicino alla finestra per assicurarsi la visuale libera verso cui far spaziare la testa, il ‘raffreddato’, eterno freddoloso, che conquista il banco più vicino al termosifone alla disperata ricerca di un po’ di calduccio, ‘l’invisibile’, che per tutto l’anno scolastico si impegnerà all’inerzia, al silenzio, all’anonimato, ‘il boss’ con relativo ‘bodyguard’ naturalmente prepotente e poi ‘la missionaria’, votata la sacrificio e così via: tredici soprannomi per la sua ridotta classe. Tutti hanno in comune malesseri vari, specchio delle difficoltà identitarie anche delle famiglie e naturalmente problemi di integrazione in un melting pot dove è impossibile trovare una via di comunicazione fra barriere insanabili etniche, linguistiche, religiose e persino alimentari.
Uno dei momenti più esilaranti dello spettacolo è proprio quando Ardeche viene incaricato di accompagnare la classe nella consueta gita scolastica di aprile e insieme alle famiglie deve tentare di scegliere un menu che metta tutti d’accordo, allora si raggiunge davvero il parossismo. Come non urtare la suscettibilità di studenti islamici, indù, ebrei e cristiani? Dopo lunghe e scalmanate discussioni senza esito sulla carne, sui lieviti, sul formaggio e così via, si sceglie una semplice insalata. Che solo apparentemente è innocua, però. Perché, se si condisce con l’aceto…
Il professor Ardeche, che ama citare Rabelais, Voltaire o Baudelaire, tentando di fare assaporare ai suoi ragazzi la bellezza delle loro parole, della loro poetica, come della storia e dell’arte deve scendere a compromessi con persone che rifiutano persino di parlare francese, come il padre di un suo alunno arabo. La parola che ha costruito l’Occidente, e la sua visione del mondo, in una realtà come quella francese che ha coltivato la ragione e il pensiero laico, emblemi dell’Illuminismo che ha fatto balzare avanti la civiltà umana, deve per forza di cose scontrarsi con tutte le chiusure e le asperità di immigrati che vivono persino nel terrore di una foto che mostri un volto di donna.
Protagonista assoluto dello spettacolo è un grande Fabrizio Bentivoglio il quale, con una recitazione lieve e intensissima, disegna la figura sorniona e ironica di Ardeche, a lui il compito non facile di sottolineare i basculanti equilibri fra funzione educativa e quel mondo pittoresco e frenetico che viene a galla con tutte le sue sfaccettature soprattutto durante l’ora di ricevimento settimanale, quando le famiglie vengono a reclamare il diritto di sfogare le proprie tensioni sociali e culturali sul malcapitato insegnante, a cui non resta altro che concedersi una corroborante tisana al tiglio per combattere lo stress… Accanto a lui Francesco Rossini, stralunato e illuso professore di matematica che ha lasciato la carriera di ricercatore credendo nella missione delle finalità dell’insegnamento.
Bravissimi, e loro sì, in un amalgama perfetto gli attori della cordata formata dalla Compagnia dei Giovani del TSU: Giordano Agrusta, Arianna Ancarani, Carolina Balucani, Rabii Brahim, Vittoria Corallo, Andrea Iarlori, Balkissa Maiga, Giulia Zeetti e Marouane Zotti.
Accurata la regia di Michele Placido che conduce il suo variegato gruppo nel palco arredato dalla scena firmata da Marco Rossi, vestiti da Andrea Cavalletto. Musiche originali di Luca D’Alberto con la voce di Federica Vincenti