Teatro Argentina – “Bestie di scena”, inquietante lavoro di Emma Dante

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Emma Dante scarnifica progressivamente il corpo degli attori, anzi i corpi, costretti a mulinare sul palcoscenico  con la stessa meccanica urgenza di oggetti inanimati, riducendo così il teatro ad un esasperato  e progressivo annullamento della parola come dei gesti. Le sue marionette non hanno bisogno  di essere belle o anche solamente gradevoli, mansuete e duttili,  continuano a girare spogliandosi dei vestiti che indossano all’inizio, che lanciano in platea, rimanendo nude, senza pudore e senza vergogna e continuando meccanicamente a gironzolare nella scena vuota, buia.
L’impatto di questo “Bestie di scena”, ultimo lavoro di Emma Dante, dato  in prima nazionale  al Teatro Strehler di Milano  e co-prodotto dal Piccolo Teatro di Milano, Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Biondo di Palermo e Festival d’Avignon e oggi presente sul palcoscenico del Teatro Argentina, è forte sul pubblico, al quale vengono sottratti i punti di riferimento sui quali poggia l’idea stessa dello spettacolo teatrale, a cominciare dalla parola: le uniche intellegibili sono quelle che pronunzia una bambola.
Il sipario è aperto, quando il pubblico conquista la poltrona, e gli attori girano intorno sul palcoscenico, come atleti che fanno il riscaldamento muscolare in previsione di una performance. E il pubblico resta lì, a titillare il proprio voyerismo, seduto al buio, in attesa di catalogare quello che vede, di potere giungere ad un significato, ad un senso logico, finché si modifica l’ottica e quelli che si animano girando meccanicamente non sono più attori-esseri umani ma dei corpi. Che si muovono, corrono, che mostrano una gestualità essenziale, svelando progressivamente con l’astrazione una contrapposizione con l’azione di spogliarsi e una espressività che è conquista di un linguaggio.
Anche attraverso gli apparentemente casuali oggetti lanciati in scena, dalle quinte, dal soffitto, un bidoncino d’acqua, dei palloni, una bambola parlante, petardi che fanno sobbalzare il pubblico,  scope che scendono dall’alto come liane.
Questi giocattoli servono per innescare reazioni collettive e individuali nei corpi che continuano a girare. Corpi che non parlano ma si affidano alla espressività intrinseca in ognuno. Che si motivano ad di là delle note every green de The Platters e del loro “Only You”. Alle quali, forse, gli spettatori pensavano di attingere per un briciolo di comprensione e di senso.
Corpi che diventano, come scrive la Dante nelle sue note di regia, “il simbolo di una comunità in fuga, che si illude di vivere, tenendo fra le mani oggetti in prestito”. Corpi che a volte riescono ad estrarre da sé una vis comica coinvolgente.
Spettacolo coraggioso tutto sommato questo “Bestie di Scena”,  che vuole esplorare la condizione umana nell’individuo gregario in un gruppo e solo e alienato al tempo stesso. Che lascia spazio a molte domande cui non è facile dare risposte, ma che induce soprattutto ad un  processo inevitabile di ricerca all’interno delle nostre individualità.
I corpi in scena, rigorosamente in ordine alfabetico, sono quelli di Elena Borgogni, Sandro Maria Campagna, Viola Carinci, Italia Carroccio, Davide Celona, Sabino Civilleri, Alewssandra Fazzino; Roberto Galbo, Carmine Maringona; Ivano Picciallo; Leonardo Saffi; Daniele Savarino; Stephanie Taillandier, Emilia Verginelli con Daniela Macaluso e Gabriele Gugliara.
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