Cantabilità cristallina
Istituzione Universitaria dei Concerti – Il Quartetto di Cremona propone Beethoven nella stagione della Sapienza
Roma, 10 novembre – Sarà il luogo, sarà un’attitudine formalizzata nel corso degli anni, quel che è certo è che andando ad assistere ad un concerto del Quartetto di Cremona, volente o nolente, ti trovi immerso in una atmosfera scolastica con i quattro musicisti che si palleggiano la parola e cercano di spiegare o di raccontare l’estetica e la tecnica dell’opera che si apprestano ad eseguire. Senza, tuttavia, proporre esempi musicali che illustrino quanto detto. Per forza di cose, una parte del pubblico apprezza e ascolta, l’ altra trova straniante ed ermetico il linguaggio, e l’imposizione della lezione viene tollerata con sbuffi di noia. Poiché il Quartetto non è nuovo a simili exploit, occorre mettere nel conto tutto ciò andando ad assistere ad un loro spettacolo.
Il Quartetto di Cremona nasce nel 2000 presso l’Accademia Stauffer e in breve si afferma nel mondo della musica come una delle formazioni più interessanti operanti oggi. Presto il loro raggio di azione si allarga ai principali festival in Europa, Sudamerica, Australia e Stati Uniti. Il loro repertorio spazia nella musica a trecentosessanta gradi comprendendo pagine di autori quali Haydn, Mozart e Beethoven come anche le composizioni dei contemporanei. Dal 2011 e fino al 2014 è “Artist in Residence” presso la Società del Quartetto di Milano. Inserito nei programmi di radiotelevisioni di tutto il mondo, il Quartetto di Cremona oltre ad un ricco palmarés di premi, vanta una consistente produzione discografica, premiatissima.
Questa volta l’incontro con il Quartetto di Cremona, ovvero Cristiano Gualco e Paolo Andreoli, violini, Simone Gramaglia, viola e Giovanni Scaglione, violoncello, avviene nell’Aula Magna della Sapienza per la prestigiosa stagione della IUC con un programma “tutto Beethoven”, ovvero i suoi quartetti, che saranno proposti in due differenti serate. Rispettando la cronologia, il primo ad essere eseguito è il Quartetto n.3, uno dei sei dell’op. 18, in realtà il primo ad essere composto, con gli abbozzi risalenti al 1798. Inevitabile che nelle corde compositive del ventottenne Ludwig si muovesse lo spirito settecentesco di un Haydn, di un Mozart, quelle trasparenze, quelle cantabilità, quelle espressività, con la scrittura che esalta il suono del primo violino, la cui voce, egemone e quasi solistica, assume il ruolo di strumento conduttore, offrendogli nel contempo l’accompagnamento armonico di rincalzo dei rimanenti archi, retaggio dello stile galante. Qui, naturalmente, il prezioso Nicola Amati del 1640, nelle abili dita di Cristiano Gualco ha potuto giocare tutte le sue chance, offrendo una voce chiarissima e cristallina, particolarmente adatta al clima generale dell’opera, al suo diffuso lirismo, a quella cantabilità che trae dalla classicità viennese quell’aura ideale mitteleuropea tedesca che evolvendosi finisce per trasferire al violino moduli della vocalità belcantistica italiana.
Certo, siamo ancora lontani dai contrasti chiaroscurali, dal pathos del musicista che è come un fil rouge che si rimanda da un’opera all’altra, anzi la grande eleganza, la galanteria e la raffinatezza dei temi e dei timbri del Quartetto in re maggiore n.3 sembrano dimostrare la volontà di Beethoven di perpetuare la “Grande Forma” viennese della scrittura quartettistica.
Ma non bisogna ignorare l’indole particolarmente indomita e la volontà di imboccare nuove strade, di aprire i rigidi schemi compositivi e avviare inedite sperimentazioni, che percorre come un brivido tutta la composizione.