Roma, 5 luglio 2019 – L’estate è il jazz sono davvero un matrimonio felice. Lo si è visto alla Casa del Jazz, lo spazio splendido del Parco Ardeatino, due ettari e mezzo di verde nel cuore della Roma archeologica, in una notte calda e profumata di erbe selvatiche, nell’atmosfera densa di storia antica, quando l’Orchestra Roma Sinfonietta si è esibita in una serata monografica dedicata a Georg Gershwin, un percorso nella memoria e nell’attesa di un pubblico numeroso, che certamente può apprezzare il programma trascinante e popolare, proposto da una formazione sinfonica ancor giovane – è nata nel 1994 per volere di Gigi Lanzillotta, primo violoncello dell’orchestra Rai di Roma, che ne è l’illuminato direttore artistico-, ma con un curriculum di tutto rispetto.
‘Roma Sinfonietta’ fin dalla sua costituzione ha sede presso l’Università di Tor Vergata, dove conduce una stagione meritevole che va da ottobre ad aprile. L’orchestra è stata pensata come un organismo molto duttile, che si rinnova continuamente con audizioni per scegliere i migliori elementi. In tal modo può portare avanti le sue scelte artistiche che si basano principalmente sulla eliminazione di ogni cesura di genere, per poter spaziare liberamente lungo il repertorio classico e contemporaneo, come muoversi a pieno titolo nell’ambito del pop. L’Orchestra ha collaborato con artisti come Caetano Veloso, Dulce Pontes, Claudio Baglioni, Burt Bacharat, Bruce Springsteen, ma anche Mariella Devia, e tanti tanti altri, svelando una propria apertura internazionale. Assai apprezzata da Ennio Morricone, con il quale collabora fin dalla nascita, ha inoltre condotto numerose tournée in giro per il mondo.
La collaborazione di ‘Roma Sinfonietta’ con la Casa del jazz ha già avuto quest’anno un primo atto con una monografia di musiche di Leonard Bernstein.
Apre il cammino nell’universo di Gershwin la magica ‘Summertime’ la ninna nanna tratta da “Porgy and Bess”, considerata la prima opera lirica americana, ispirata al romanzo omonimo di Edwin Dubose Heyward, con le parole dei songs firmate da Ira Gershwin, fratello del compositore, che sconcertò all’epoca della sua prima rappresentazione pubblico e critica: era un tipo di spettacolo inedito per le scene liriche, che lo stesso autore aveva chiamato Folk-opera, a rimarcare che si trattava di un racconto popolare sulla vita dei neri del cotone, dunque i loro canti non potevano che rispecchiare il loro modo di vivere, ma spirituals e folksongs non riprendono quelli tradizionali, sono opere vere e proprie inedite, semmai solo popolareggianti.
Summertime è il brano di punta dell’opera, ed è diventato rapidamente il banco di prova di cantanti di tutto il mondo. L’orchestra, ben diretta da Gabriele Bonolis, lo presenta in versione strumentale con l’ arrangiamento di Sammy Nestico. Già ben rodato nell’ascolto, ecco giungere al pubblico sulle ali d’una freschezza agognata i ritmi travolgenti e frizzanti di 4 Songs per sax tenore, (l’eccellente Simone Salza), tromba, flicorno, pianoforte ed archi, arrangiati da Riccardo Biseo. Si scatenano le note di ‘I got rhythm, che si spengono sull’implorazione ‘Oh Lady be good’. Giuseppe Andaloro, pianista palermitano in ascesa verso le zone più alte del firmamento internazionale, si riscalda con tre Preludi per pianoforte, che dovevano far parte di una composizione di 24 brani rimasta incompiuta, prima di affrontare con piglio risoluto la celeberrima ‘Rapsody in blue’, che Woody Allen ha fatto girare per il vasto mondo come sigla del suo film ‘Manhattan’. Con questa magnifica pagina la musica dei neri d’America si consacra fin da quella memorabile prima esecuzione all’ Aeolian Hall, il 1 febbraio del 1924, con Paul Whiteman, celebre all’epoca per la sua orchestra da ballo, sul podio e lo stesso Gershwin, pronto a sprizzar faville virtuosistiche dal pianoforte. Amore totale , allora, che scorre eccitante e coinvolgente come un bella sorsata di bourbon in un pubblico assetato dal proibizionismo fin dal momento in cui il clarinetto lancia come uno strale la sua nota acuta che si spalma sui tetti dei grattacieli di Manhattan, riprende il vitalismo, il dinamismo così connaturato ai ‘ruggenti anni 20’ del celebrato quartiere di New York, la sua inesauribile energia. Andaloro ha illustri competitor nel ruolo solistico, ma ha saputo mostrare grinta e sfoderare quella ritmica ‘folle’ eppur venata di malinconia che racconta la grande città e i suoi eccessi riscuotendo un personale successo che lo ha convinto a concedere dei bis. Accompagnato e sostenuto da un’orchestra particolarmente aderente alla pagina musicale, vivace e partecipativa, ha poi ripetuto una parte della Rapsody, con identico entusiastico consenso.