Teatro dell’Opera – Il belcanto di Linda di Chamounix
Rinsavire d’amore
Roma, 20 giugno – Ma allora di devastante mal d’amore che trascina anime delicate e appassionate verso la libertà della follia si può anche vivere, oltre che morire? Perché Linda non sarà certo una di quelle fragili eroine, come Lucia e come tante altre che trovano conforto solo perdendosi nei sentieri segreti di una mente offuscata. Lei torna al paesello sull’arcobaleno di note che l’amico Pierotto trae dalla sua ghironda, la stessa melodia che la ragazza cantava insieme al suo Carlo, mescolando realtà e vaneggiamenti, mentre la sua voce, quella morbida e armoniosa di Jessica Pratt, si alza lieve sulle note più acute del pentagramma, ricercando il suono più propizio a raccontare Linda e il Belcanto. Così Donizetti, attraverso l’apporto della splendida cantante anglo-australiana, torna sul palcoscenico del per completare la stagione, con un’opera non proprio popolare come Linda di Chamounix che ha belle arie, virtuosistiche per la voce, qui utilizzata nella tonalità originale, più alta, che lasciano scorgere in controluce una preoccupazione, quasi un asservimento del compositore ai canoni di un tipo di canto che spopolava, con un libretto che non scavava nella compiutezza dei personaggi, ma che offriva piacere all’udito con i suoi trilli e le belle note modulate. E’ la storia di Linda, quella che viene narrata, giovane savoiarda, innamorata di Carlo, nome che cela il visconte di Sirval, ma sottoposta alle angherie del di lui zio, il prepotente Marchese di Boisfleury, personaggio che si sente in diritto di adottare comportamenti equivoci con la ragazza. Perciò la giovane lascia la natia Chamounix assieme ad un gruppo di lavoratori stagionali e raggiunge Parigi dove sarà molto corteggiata per la sua bellezza, ma dove viene ripudiata dal padre che, ritrovandola in un lussuoso appartamento, vestita elegantemente, non solo non la riconosce, ma saputo chi è, crede sia stata disonorata e sia diventata una mantenuta. Intanto, la sorte sembra accanirsi sulla giovane, viene a conoscenza che la madre chiede a Carlo di sposare convenientemente una ragazza in tutto degna del gran nome dei Sirval. E’ troppo per Linda, crollata in uno stato di semi incoscienza e di melanconia (che in un certo qual modo la accomuna alla ben più tragica pazzia di Lucia), Linda lascia la vita opulenta e prende a vagare, accompagnata dal fedele amico Pierotto che la riporta verso Chamounix, e durante il viaggio intona accompagnandosi con la ghironda la melodia cara al cuore della fanciulla, colonna sonora del suo amore per Carlo. Intanto le difficoltà si sono appianate, il Visconte ha ottenuto dalla madre di sposare l’amata fanciulla e viene a comunicarle la notizia. La gioia improvvisa, la consapevolezza di essere tornata verso la casa della mamma e i suoi affetti più cari snebbiamo la mente offuscata di Linda e tutto si conclude con la gioia delle speranze realizzate.
Ma Linda, ancora una volta, non è Lucia, lei è protagonista di un’opera definita semi-seria, un genere di mezzo che mescola toni drammatici e farseschi, insomma un genere comico-patetico con dramma con l’happy end finale. Come la “Nina, pazza per amore” di Paisiello, o ancora “La Gazza ladra” o “Sonnambula”, storie che allargano la fasce del pubblico proprio in virtù della doppia natura. Qui le vicende narrate sono complesse e pasticciate nel libretto di Gaetano Rossi. Eppure quando fu presentata a Vienna al Teatro di Porta Carinzia nel 1842 commosse tutti, anche, stranamente, per quel lieto fine, che vedeva i due innamorati liberi di coronare il loro amore. E tanto fu apprezzata che fu accompagnata da subito da una aneddotica come nella migliore tradizione del mélo e divenne leggenda la sciarpa con ricami d’oro che giunse la sera della prima al compositore dal parco blasonato e la nomina immediata a compositore di Corte, lo stesso incarico di Mozart. In quest’opera convivono più contesti espressivi, ma anche citazioni e imprestati della stesse opere di Donizetti come dal milieu musicale dell’epoca. Certo, quel marchese di Boisfleury (Bruno De Simone, bravissimo) è colorato di pennellate rossiniane, è un basso “buffo”, come si conviene ad una commedia. Il regista Emilio Sagi, chiamato a curarne l’allestimento, vi ritrova venature di malinconia, rilevando come certi movimenti ipnotici gli ricordino da vicino il linguaggio di Philip Glass, perciò ha ammantato tutto, paesaggio, costumi, scene di un bianco polveroso. Le scene poi di Daniel Bianco, specie quella del primo atto, sono un omaggio a certa pittura metafisica, con colonne/tronchi d’albero altissimi e quasi onirici. Linda mancava dal Costanzi da oltre un secolo. Il successo pieno che ha registrato l’Opera, coprodotta con il Liceu di Barcelona, deve condividersi con tutto il cast: accanto alla fuori classe Pratt, che ha completato la messa a punto della voce con l’ausilio della grande Renato Scotto, nei corsi tenuti presso l’Accademia di Santa Cecilia, si segnala la bravissima Ketevan Kemoklidze, mezzo soprano georgiano, ottimo Pierotto en travesti, il tenore Ismael Jordi disegna un Visconte de Signal innamorato e dolente, lacerato dal dovere del rango e dalle esigenze del proprio amore imprescindibile. Roberto De Candia è il bravo padre di Linda, Antonio, Christian Van Horn, al debutto all’Opera, è il prefetto, mentre Caterina di Tonno interpreta Maddalena, la madre della protagonista e Saverio Fiore ricopre il ruolo dell’intendente del Feudo. Particolare attenzione anche al sempre puntuale Coro diretto dal Maestro Roberto Gabbiani, qui mobilitato anche in brevi movimenti coreografici. Riccardo Frizza ha cercato equilibri fra golfo mistico e palcoscenico.