Roma, 18 ottobre 2024 – Attualmente è in proiezione nelle sale italiane “Finalement”, opera dell’ottantasettenne Claude Lelouch.
In primo luogo si impone una riflessione sul permanere del vizio italico di storpiare i titoli originali dei film stranieri.
In questo caso, l’anziano autore aveva esplicitamente scelto una sola parola, senza dubbio conclusiva, in tutti i sensi: finalmente.
Poteva e doveva bastare. Eppure la distribuzione italiana non ha resistito, partorendo il ridondante e fuorviante sottotitolo “Storia di una tromba che si innamora di un pianoforte”.
Ciò doverosamente detto, veniamo al film.
Il regista ha voluto collegare nella finzione questo film a “L’aventure c’est l’aventure”, da lui diretto nel 1972, consentendosi un’autocelebrazione, sia personale che del proprio Paese.
Al di là di questa impostazione, che della grandeur francese è tipica, la pellicola è interessante e ne consigliamo la visione.
In queste righe non si intende però farne una recensione, lasciando agli interessati di farsi una propria opinione, che è il diritto fondamentale dello spettatore cinematografico.
Si vuole invece seguire una suggestione particolare che il film evoca, invitando a un viaggio indietro nel tempo.
Negli anni Settanta, l’epoca prolifica del cinema francese a cui presero parte molti emigrati italiani, divenuti celebri oltralpe.
Nella narrazione di “Finalement” il protagonista, ben interpretato da Kad Merad, è infatti il figlio del principale personaggio del film del 1972, il malavitoso Lino Massaro, simpatico lenone che si accompagna ad altri quattro balordi.
Molti spezzoni del vecchio film si innestano così nel nuovo, riproponendoci gli attori di allora.
Primo fra tutti il grande Lino Ventura, parmigiano emigrato in Francia da piccolo con la famiglia, che impersonava Massaro.
E poi Aldo Maccione, torinese molto più noto al pubblico d’oltralpe che al nostro. I diversamente giovani lo ricorderannocome membro de “I Brutos” e come il Sergente Mastino nella farsa militaresca del Colonnello Buttiglione.
Per la cronaca, gli altri tre avventurieri della banda sono interpretati dal cantautore Jacques Brel (belga), dall’attore-feticcio di Truffaut, Charles Denner (polacco di nascita), e da Charles Gérard (armeno).
Per essere una autocelebrazione del cinema francese, Lelouch ha chiamato dunque in causa un quintetto di oriundi, con buona pace dello sciovinismo.
Ma torniamo a “lesitaliens” della celluloide anni ’70, con il piacere di sciorinare l’elenco.
Ecco il “titiparisien” per eccellenza, Jean Paul Belmondo, che il godersi la permanenza sul pianeta Terra ce lo aveva stampigliato nel cognome, ereditato dal nonno Paolo, piemontese di Borgo San Dalmazzo.
Dalla Toscana veniva un certo Ivo Livi, nato a Monsummano, che dopo l’avvento del fascismo emigrò dalla Valdinievole a Marsiglia, coi genitori socialisti. Nacque così lo chansonnier e attore Yves Montand.
Di origine parmigiane, come Lino Ventura, era Marcel Bozzuffi, grande caratterista soprattutto di film noir e poliziotteschi anni ’70.
Dall’Emilia veniva anche Sergio Reggiani, che mantenendo la natìa Reggio indelebilmente nel cognome, divenne in arte Serge. Attore e cantante, è ricordato, oltre che per i molti film, anche perla sua “L’italien”, malinconica ballata dell’emigrante.
Era ciociaro di origine il comico Coluche, che osò lanciare la sfida (poi ritirata) alla corsa per l’Eliseo, contro il presidente uscente Valery Giscard d’Estaing e François Mitterrand, che ne sarebbe stato il successore. Michel Gérard Joseph Colucci, così il suo vero nome, era figlio di un imbianchino di Casalvieri (Frosinone).
Ci fermiamo qui in questo elenco di “ritals”, termine dispregiativo dell’argot popolare francese con cui venivano bollati i nostri immigrati del secondo dopoguerra.
Va ricordato che, in tempi più recenti, molte attrici nostrane non emigranti (molte in realtà trasferitesi per amore) hanno trovato la loro realizzazione artistica in Francia, tra cui citiamo Anna Galiena, Monica Bellucci, Valeria Bruni Tedeschi e sua sorella Carla, Caterina Murino, Alessandra Martines (che sposò proprio Claude Lelouch).
È però indubbio, parafrasando la definizione di Jorge Luis Borges sugli argentini, che buona parte degli attori del cinema transalpino anni Settanta erano ‘emigrati italiani che parlavano francese’.
E dunque,meritano un ringraziamento: merci, les italiens!