Spettacolo: Finanziamento del cinema italiano. Intervista esclusiva con Mirko Ikonomoff – Video e foto di Stella S..
Dalla nostra corrispondente da Los Angeles, Stella S..
Los Angeles, 08 settembre 2020 – Abbiamo affrontato l’argomento della produzione cinematografica italiana, con il produttore Mirko Ikonomoff, il quale, sull’argomento, ci ha detto:
“Fino al 1975, l’anno della legge Corona, l’Italia aveva una forte industria cinematografica. Si producevano 300-400 film all’anno, molti dei quali in co-produzione, che venivano venduti sul mercato internazionale. Con la legge Corona, sia Dino De Laurentis che Carlo Ponti, ritennero che non si potesse fare più un cinema competitivo in Italia e si sono trasferiti uno in USA e l’altro in Svizzera.
Con quella legge, nel nostro Paese si è persa la “competizione naturale” e la burocrazia ha avuto un forte ingresso nell’industria cinematografica, che strada facendo si è smarrita quasi completamente. Soltanto produttori con forti appoggi, hanno avuto accesso ai fondi sia della RAI sia del Ministero attraverso le sue commissioni.
Per fare il cinema “non ci si diventa ma ci si nasce”, non è il lavoro di un singolo, come il pianista o il violinist, ma di un gruppo che si compone in maniera naturale e crea un processo chimico speciale, dove ognuno è in grado di dare il meglio e il massimo di sé.
Una storia, per la sala cinematografica, dovrebbe essere il racconto di una grande sfida, il più possibile credibile e per ottenere questo risultato è necessario che ognuno possa esprimersi liberamente e creativamente: più si dà al pubblico e più si riceve dal pubblico.
Per raggiungere questo scopo bisogna partire dalla costruzione di un “pacchetto cinematografico” di grande qualità che comprende la storia, il cast, la regia e i potenziali finanziatori.
Oggi circa il 90% dei prodotti che finiscono in prima serata televisiva e nelle sale cinematografiche, sono prodotti da Hollywood. È assurdo che noi non abbiamo la possibilità di partecipare a causa delle nostre regole – non solo nazionali ma anche di altri paesi europei – né alle scelte creative, né a quelle finanziarie di gran parte dei film che acquistiamo a prodotto finito. Bisognerebbe, quindi, rivedere gran parte delle barriere burocratiche-protezioniste perché il punto di riferimento deve essere la qualità del pacchetto e non il produttore che lo rappresenta. Il pacchetto deve contenere una serie di valori economici e artistici liberamente reperibili da chi lo costruisce e, una volta efficacemente costruito, deve essere sostenuto economicamente dai vari circuiti nazionali e internazionali. Il finanziamento, dunque, dovrebbe provenire da chi ha realmente bisogno del prodotto – esercenti cinematografici, canali televisivi, distributori di dvd video – e dovrebbe essere supportato da strutture bancarie in grado di valutare il pacchetto e quindi scontare i contratti tra i produttori e i consumatori del prodotto stesso.
Essendo l’Italia un paese diviso in venti regioni, con forti caratteristiche locali, queste dovrebbero avere l’interesse a incoraggiare il più possibile le produzioni cinematografiche e dovrebbero agevolare al massimo la realizzazione di questi progetti sul proprio territorio. Le regioni, ovviamente, devono avere un aiuto specifico dallo Stato, come per esempio una speciale politica fiscale che già esiste ma che potrebbe essere migliorata e inoltre si dovrebbero coinvolgere le varie confindustrie regionali. Il grande problema della maggior parte dei progetti è legato ai fondi iniziali per la stesura della sceneggiatura e l’impegno del cast e della regia, quindi per dare avvio ad una nuova industria cinematografica italiana è indispensabile stanziare inizialmente i fondi per comporre il pacchetto, ma per poter poi completare il budget per la produzione di un film, il produttore deve essere in grado di coinvolgere i vari partner nazionali e internazionali secondo le caratteristiche del progetto stesso, tramite i vari mercati e festival del cinema che nel mondo si svolgono quasi con scadenza bimestrale.
Per ovviare alle restrizioni esistenti, dal momento che facciamo parte dell’UE, possiamo procedere con deroghe nei confronti di tutti gli Stati con i quali non esistono accordi di co-produzione, in special modo con Hollywood. Così molti prodotti hollywoodiani, che oggi acquistiamo già finiti, saranno invece frutto di una condivisione di scelte operate in forma co-produttiva e si potrebbe così condividere il profitto con Hollywood su tutto il mercato internazionale e non come avviene adesso solo sul territorio nazionale.
Nel cinema indipendente, un film per avere i pregi che gli consentano di poter competere in ambito internazionale, deve avere un budget che va dai cinque ai venti milioni, salvo casi eccezionali. L’Italia è tra i primi paesi manifatturieri del mondo e anche in altri settori è ricco, creativo e vincente: travasare soldi da un’industria che ha un grosso profit a un’altra, permetterebbe non solo di far ripartire l`industria cinematografica ma sarebbe anche un modo per creare posti di lavoro.
Coloro che rappresentano la cinematografia in Italia, sono abituati da decenni ad usare ed usufruire dei soldi pubblici senza dover poi rendere conto se il film ha avuto successo oppure no e hanno continuato ad avere sempre finanziamenti per film successivi anche se con i precedenti non avevano recuperato i soldi spesi.
Il Festival di Venezia è stato trasformato in una vetrina formale, riducendo sempre più l’immagine e l`importanza della rassegna stessa.
Bisogna dare agli imprenditori italiani che hanno profit important, l’opportunità di poter investire nel cinema a condizioni molto incoraggianti. Devono poter recuperare in prima posizione il 115% di quanto hanno investito, anche con l’ampliamento delle facilitazioni fiscali e in seguito avere la metà del profit del film. Naturalmente bisogna stipulare l’assicurazione di buon fine (completion bond) che garantisce all’investitore che non sarà modificato nella fase di realizzazione quello che è stato prima approvato e sottoscritto.
È necessario sviluppare al massimo le co-produzioni con i paesi esteri, semplificando le procedure e gli accordi relativi. Così, nel giro di cinque o sei anni, è auspicabile che si raggiunga lo scopo di avere una nuova generazione di produttori, attori, sceneggiatori, registi e distributori presenti anche sul mercato internazionale e una nuova industria cinematografica che non abbia necessariamente bisogno dei finanziamenti pubblici.
Gran parte dei produttori indipendenti di Hollywood, sarebbe felice di venire in Italia per lavorare, perché ritengono l’Italia il paese più bello del mondo, dove si mangia meglio, pieno di meravigliose opere d’arte. Attirandoli da noi, sarebbe possibile avere nei nostri cast nomi importanti che valgono milioni ed essere presenti sui mercati esteri. Questi attori e registi di fama internazionale potrebbero, inoltre, essere in compartecipazione per il loro cachet. In questo modo si potrebbe anche ovviare alla mancanza di uno Star System nazionale, utilizzando quello americano con l`obiettivo di ricrearne uno nostro così come era negli anni `60 e `70. Sarebbe così possibile invertire la tendenza negativa che vede oggi soltanto lo 0,5% dei film italiani prodotti avere uno sbocco in qualche piccolo mercato straniero.
Grazie, Mirko, a nome di www.attualita.it che rappresento, per il tuo chiarimento senza mezzi termini sulla materia, e per la cortese disponibilità.