Roma, 13 marzo – “Zapateando”, Néstor Pastorive,”El Polaco”, incanta il pubblico dell’Olimpico con il suo “Fiesta Argentina”.
È venuto per la prima volta nella Capitale ad inaugurare la V° edizione del Festival Internazionale della danza che l’Accademia Filarmonica Romana propone congiuntamente con il Teatro Olimpico e che in cinque tappe snoda un percorso assai accattivante con “HQ Program”, “Il Vestito di Marlene”, l’Aterballetto e i favolosi e creativi Mummenschanz. Lui, argentino, che deve il soprannome al capello rossiccio e che vanta da parte di madre lontane origini italiane, anzi calabresi, e un’ascendenza africana da parte del padre, perfetto esempio di uno di quegli incontri che fanno unica la koiné mediterranea, ha trovato un linguaggio di suoni e passi di danza che vuole rappresentare intera la sua Argentina, non solo tango o milonga, che pulsano con il cuore di Buenos Aires, ma tutto un campionario più vasto di ritmi, ritmi ancestrali e sincretici, che si nutrono del contatto fattivo con le pampas, con la solitudine dei gauchos, con una realtà da addomesticare, con le memorie di madrepatria lontane.
Nelle danze di Pastorive c’è anche la cultura della Spagna, il bolero, la jota, il fandango che si sono inebriati degli spazi immensi della terra rossa d’America e rivivono con pelle nuova e con armi nuove, come le boleadoras, possenti corde con un apice appesantito da una durissima palla di legno da lanciare tra le zampe per spegnere il senso della corsa pazza, impastoiando a terra con l’occhio aperto nell’immensità della paura e della morte imminente la bestia brada, ma qui, sul palcoscenico dell’Olimpico, solo suono e danza, roteando e percuotendo il suolo percussivamente in una sorta di gara ritmica con i piedi battenti e le braccia frullanti dei bailadores..
Alla testa di dodici danzatori che diventano percussionisti per ballare il malambo, spettacolare danza maschile, degli uomini veri, i gauchos, quelli che domano i cavalli selvaggi che corrono liberi nel vento delle pampas, e che suonano i “bombos”, Pastorive assorbe la potenza di una terra giovane popolata dagli immigrati che ben presto assimilano l’elemento aborigeno, se ne lasciano avvolgere e lo ripropongono con la forza e la potenza di affascinati esecutori di danze semplici e popolane, vicine allo spirito della terra, emanazioni di esso.
Ecco i balli camperos, la chacarera, ingenuamente seduttiva con i ballerini a coppia, la zamba sensuale con quei ballerini che si avviluppano nei fazzoletti ( qualcuno dei loro movimento ricorda la pizzica ), danza sudamericana per eccellenza, che con il nome di zamacueca è la danza nazionale cilena. Ma non siamo propriamente nel dominio del folklore, Pastorive rielabora la tradizione e crea attorno ad essa e con essa un linguaggio che vira verso il colto con tutti gli apporti che la danza classica bolera e la danza contemporanea hanno saputo filtrare.
Ecco la milonga, che in africano vuol dire parola, detta “l’habanera dei poveri”, nata nelle sale per la gente del popolo, che ben presto presero a chiamarsi esse stesse “milongas”, come la musica e il ballo che ospitavano, che è cresciuta di forza penetrativa a partire dalla sua anima antica, anima nera, afro, che si è spinta con le sue calde folate in terra andalusa, lievitandone il folklore, musica e danza che “ comprende una vasta zona del “cono sur”, la pampa argentina e le praterie ondulate della fascia orientale”, come disse Alfredo Zitarrosa.
Sul palcoscenico dell’Olimpico impazza il candombe, la voce degli schiavi neri, filo teso e vibrante di contatto con le loro radici africane, che diventa elemento liberatorio con le ricche trame di più tamburi che battono con frenesia crescente in armonia con il “zapateo”, quel gioco di gambe e di tacchi che incanta e trascina.
Naturalmente non può mancare sua eccellenza il Tango. Passione pura negli sguardi che si cercano ,nell’abbraccio frontale, nel saettare di gambe, nell’eleganza sensuale. Con un accompagnamento musicale rigorosamente dal vivo, “Fiesta Argentina” con il suo quartetto di bravissimi musicisti che oltre agli strumenti più comuni e ai tradizionali tamburi della pampas, utilizza strumenti antichi e moderni come flauti andini, charango, siku, erke, chitarra, quena, è venuta ad aprire uno squarcio che diventa universale nella misura in cui è prossima alla musica più autenticamente popolare.