Accademia Filarmonica Romana – Galante vs Betta, due compositori a confronto

Una singolar tenzone musicale

Roma, 17 gennaio – La vitalità della composizione musicale contemporanea esce prepotente da questa singolare tenzone nella Sala Casella dell’Accademia Filarmonica Romana fra due compositori di oggi che, pur nella specificità dei loro rispettivi linguaggi, mostrano un percorso di crescita e di ricerca che li accomuna.

Loro due, Marco Betta e Carlo Galante, generazione di cinquantenni, hanno chiamato in funzione di arbitro e di raccordo fra i loro pezzi Niccolò Castiglioni (1932 – 1996), cui a vario titolo sono ambedue legati, al quale è lasciato di aprire lp spettacolo e di separare i due momenti musicali. Il concerto si inserisce nell’ambito della rassegna La musica da camera dal barocco al contemporaneosostenuto dalla Regione Lazio, Assessorato alla Cultura, Politiche giovanili.

Sul palcoscenico dueraffinati e attenti strumentisti come Selene Framarin e Alfonso Alberti, che privilegiano i repertori meno battuti della contemporaneità.

Apertura con “Daleth” di Castiglioni connotata da note sfuse che incidono sul suono del pianoforte, stridenti, intervallate, lontane, note di clarinetto sovra acuto che giungono dal fondo della sala, e trascinano infine più in alto, verso le regioni del sovra acuto le sonorità del pianoforte. Siamo in pieno dominio delle scelte stilistiche del compositore, affascinato dalla purezza del cristallo, del ghiaccio, dell’inverno e dei suoi lindori. Come delle note che li raccontano. In Daleth, dopo l’insolito incipit gli strumenti si apprestano al dialogo tra  in modo giocoso, comico brillante e la tastiera   diventa il campo espressivo per il rapido scorrere di una moneta che produce una strana scala. Allora gli strumenti trovano le sintonie dell’unisono e il clarinetto si appoggia sulle note di centro, più calde.

Il primo assalto della tenzone avviene con la Sonata(2015) per clarinetto e pianoforte di Marco Betta,  scritta nel 2015, in prima esecuzione assoluta, e dedicata ai due artisti che la propongono la Framarin e  Alberti. La forma è quella della Sonata  classica, con i suoi tre movimenti, ma la sua funzione è quella di un contenitore strategico, che deve sostenere questo canto, questo suono di mare, che si precisa meglio alla fine, quando la voce di Selena Framarin diventa un vocalizzo a bocca chiusa cullante e ammaliatore. Ma in tutta la composizione si possono riscontrare anche i canti della perdita di origine popolare, la musica allora diventa un’evocazione di un relitto che affiora fra i naufragi, che ondeggia fra le onde, e si motiva nei vocalizzi a fiori di labbro della clarinettista diventata cantante, inseriti nell’ultima parte che riecheggiano l’eco di una antica canzone siciliana.  Ne vien fuori una sorta di narrazione interna. Marco Betta ama la parola, perciò la sua strategia compositiva non può ignorare la scena – è autore di diverse opere liriche rappresentate con successo -, così come ama le contaminazioni, le fusioni, forte di una cultura “endogena” che porta nel DNA tutto un patrimonio popolare nutrito di apporti mediterranei che  esplode  di vita propria nella Palermo da cui il compositore proviene, ma deve confrontarsi con la cultura musicale classica e accademica. Dall’incontro fra un  passato vissuto nelle corde più intime della memoria e un ricco presente acculturato nasce la sua strategia del comporre. Spiega il musicista, chiamato a far parte degli Accademici di Santa Cecilia, che: “l’idea della composizione nasce dalla lettura di frammenti poetici tratti dall’Eneide di Virgilio, una sorta di canto antico che si ricollega alla tradizione degli antichi canti di carrettiere a voce sola tipici della Sicilia occidentale e dei canti di mare”.

Il secondo pezzo di Castiglioni, “He” per pianoforte solo del 1990, è un fuoco d’artificio di immagini che s’accendono sulle regioni più acute del pentagramma con uno scintillio di suoni  che si impennano poi su poche note ripetute, sempre le stesse per 116 volte, lasciando all’ascoltatore suggestioni ipnotiche,

Cosa è rimasto a Galante di Castiglioni, suo maestro ed amico? Quella specie di sortilegio, la sua bacchetta magica, la sua geometria, la sua inafferrabile ossessione. Galante conserva la narratività, racconta se stesso, cerca di narrare storie vestendole di musica. La sua dimensione espressiva è certo quella del racconto, e se non si può pensare un’opera d’arte senza una vocazione che le apra il cammino, quella di Galante è la vocazione musicale.   “Comtessa”, il suo inedito dedicato al clarinetto di Selene Framarin e al pianoforte di Alfonso Alberti, non sfugge a questa necessità.  Galante voleva fare uno spettacolo imperniato su figure femminili, storicamente schiacciate da un mondo al maschile ed ha trovato un repertorio di versi, alcuni molo belli attribuiti alla Comtessa Dia, una delle poche trobadore. Con i versi ha rinvenuto anche una melodia che è diventata il punto focale della sua composizione sul quale si articola il suo brano, che ha il sottotitolo “fantasia sopra la melodia di una Trobairitz”. Variata sia dal punto di vista musicale, sia da quello drammaturgico, la melodia ritorna ogni tanto a far capolino, si scontra con materiale diverso e cerca un terzo momento espressivo. Affidato ai due straordinari e duttilissimi artisti Selene Framarin e Alfonso Alberti, questo lavoro sfrutta interamente sia le potenzialità degli strumenti, che le stesse capacità attoriali o di cantante della Framarin. 

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