Teatro Il Sistina- Monica Guerritore inaugura la stagione 2016/17

Alla fine dell’arcobaleno

Roma, 20 ottobre 2016 – La maledizione della celebrità, vissuta in modo spasmodico, fatale: questa in estrema sintesi la storia che racconta End of the Raimbow di Peter Quilter, spettacolo di scena al Teatro “Il Sistina”, impropriamente definito musical, cui Monica Guerritore, mattatrice con due spalle formidabili, Aldo Gentileschi, (Anthony), e Alessandro Riceci (Deans), regala la carica del suo fascino e una vicinanza emozionale al personaggio di cui si raccontano gli ultimi sei mesi di vita.

Protagonista rievocata è Judy Garland, nelle sue ultime apparizioni in pubblico a Londra. Le erano accanto il fidanzato Mickey Deans, e il fidato pianista omosessuale Anthony, l’unico che provi per lei sentimenti sinceri che non cercano appagamento nei sensi ma sono intessuti di affetto e tenerezza infiniti. Lei, Judy, è una stella che vive ancora dei bagliori di una adolescenza di successo, cominciata con la interpretazione pluripremiata di Dorothy del Mago di Oz (1939), che le era rimasta addosso come una seconda pelle, dove canta una delle canzoni più belle mai scritte “Over the Raimbow”,  che la avvinse strettamente alla Metro Goldwin Mayers, che la trasformò in una macchina per far soldi, a totale disposizione dello show business. Judy Garland rimane nel libro paga della Metro fin quando i dirigenti decidono di non poter più contare su di lei, spesso ubriaca e inaffidabile per eccesso di farmaci. È il 1950. Ma il suo declino umano è già abbondantemente cominciato. La madre, per sfruttarne appieno le qualità e il talento, l’aveva rimpinzata di anfetamine, eccitanti, barbiturici, stimolanti fin dall’infanzia, per lenirne la stanchezza. Per darsi forza e coraggio, Judy, poco più che adolescente, cerca di formalizzarsi nel sentimento per gli uomini che incontra, ed è un completo disastro. Nel 41 sposa David Rose, un musicista con il quale il rapporto si spezza quasi immediatamente. Nel 1945 sposa il regista Vincente Minnelli dal quale ha la figlia Liza. Il matrimonio dura fino al 1952 e si allunga l’elenco degli errori e dell’infelicità. L’ultimo marito, Mickey Deans, è il più fatale dei compagni. Malgrado le sue condizioni di salute siano estremamente precari. Deans la costringe ad accettare una tournée di diverse settimane a Londra, e non esita a rifornirla di eccitanti purché onori i contratti e guadagni denaro, tanto denaro, per pagare i debiti, ma anche per permettere a lui, l’oscuro Deans, di ricavarne benefici. Eppure      quell’ ultima tournée era iniziata sotto una luce positiva. Judy si era disintossicata, aveva recuperato quasi completamente la sua forma fisica, lei che andava avanti come una fisarmonica tra appesantimenti del corpo che la deformavano e dimagramenti improvvisi dai quali usciva spossata più che mai. La Londra del 1968 le tributa onori e dei tutto esaurito per le sei settimane che resterà al Talk of the Town, e lei sembra animata da una più forte volontà, ma il pubblico che ama e acclama la stella, fa sentire più forte il senso della solitudine alla donna:  “non voglio essere amata lassù da tanta gente, ma quaggiù da un solo uomo”, è la sua implorante e pietosa necessità. Né le bastano i 3 figli che intanto ha messo al mondo, non le è consentita alcuna empatia. A Londra, con Mickey c’e anche Anthony, pianista omosessuale che arriva al punto di proporle di sposarla per arginare la irrefrenabile forza autodistruttiva che appanna le paillette delle sue lussuose toilette, spegne i bagliori del magnifico abito d’oro riccamente bordato di visone, o smorza il fuoco del meraviglioso vestito rosso (Walter Azzini) ornato di piume di struzzo, lo stesso con il quale cadrà in scena per non sollevarsi mai più, a soli 47 anni, quel 22 giugno del 1969. Il suo funerale al quale parteciparono migliaia di persone fu pagato da Frank Sinatra: le sue finanze dissestate non lo avrebbero permesso. Certo Judy Garland, la star, continua ora che si è trasferita nell’etereo e scintillante paradiso dei divi, ad attingere momenti di gloria, come tanti altri miti immortali, come Marilyn, come Diana, come James Dean, come la Piaf, come la generazione dannata del “club dei 27”, quei grandi cantanti ventisettenni che si spengono giunti alla tappa fatidica di quell’età malaugurata, come la recentissima Amy Winehouse, divorati dal successo, dalla smania di dare di più, a qualunque costo.

La Garland presente nel cartellone del Sistina, icona tra le icone femminili mondiali (Evita, Diana seguiranno in cartellone), venuta ad inaugurare sontuosamente il calendario de “Il Sistina” ha le fattezza, il fascino e la bravura, la bellezza elegante di Monica Guerritore. È lei a farne rivivere l’ironia, il carattere gioioso, l’ottimismo di fondo e le paure, certi toni sguaiati su un palcoscenico divenuto con la magnifica, elegante scenografia di Carmelo Giammello, la suite di un albergo di lusso. Qui Monica declina la parabola del suo personaggio con piena credibilità, si direbbe con amore, cantando anche alcuni suoi brani fra i più celebri, come “Smile”. Anche se Monica afferma di essersi impegnata con tre mesi di studio giornaliero, certamente la sua voce leggermente roca è ben lontana dallo splendore dorato delle note cesellate dalla Garland. Più un fine dicitore al femminile, che una vera cantante. D’altra parte, qui si racconta la sua fine, il suo declino, le sue sofferenze in un inesausto uso di psicofarmaci e alcool e certamente può essere plausibile certa esitazione nel cantare quegli otto meravigliosi successi della diva.

Sul palcoscenico, indispensabili Aldo Gentileschi e Alessandro Riceci giocano intensamente i ruoli assegnati.

Una band formata da Vincenzo  Meloccaro, Gino Binchi e Stefano Napoli assicura la musica dal vivo e gli arrangiamenti di Marcello Sirignano.

La regia vivace e intelligente è di Juan Diego Puerta Lopez.

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