Spettacolo
Accademia di Santa Cecilia – ‘Festival Ciaikovskij’ con Gergiev l’Orchestra del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo
Il destino implacabile parla russo
Viva Gergiev e le sue mani danzanti che evocano note preziose, brillanti e intense, sussurri e esplosioni. Una carica emozionale che si spande sull’orchestra, la grande orchestra del Mariinskij e sul pubblico che acclama.
Si vogliono onorare i 125 anni dalla morte di Ciaikovskij e quel tessuto di sogni, speranze, sofferenze che domina nella sua opera tutta e incanta gli ascoltatori del mondo intero. Ciaikovskij, una delle massime voci musicali ottocentesche, il più grande compositore russo. Gergiev e la sua Orchestra sono i protagonisti del Festival Ciaikovskij presentato dall’Accademia di Santa Cecilia, una kermesse che si è snodata per tutte le sei sinfonie del catalogo e che ha permesso anche di ascoltare in forma di concerto il suo capolavoro lirico, Iolanta. Abbiamo seguito due dei tre appuntamenti previsti. Nel primo è stata eseguita la “Piccola Russia”, ovvero la Sinfonia n.2 in do minore op.17, scritta nel 1872-73 ed eseguita a Mosca nel febbraio dell’anno successivo. Poi, una serie di rifacimenti fino ad approdare ad una versione definitiva.
“Piccola Russia” era l’Ucraina con i suoi canti popolari pieni di leggiadria e tenerezza sui quali vagano sfumature di abbandono un po’ malinconico, che si irradiano sul primo movimento della Sinfonia n.2 che trasfigura la melodia di una canzone popolare “Scendendo per il materno Volga”. Un’immagine musicale, si direbbe, che prosegue nei ritmi accelerati e scalpitanti dell’Allegro vivo, una immersione nella natura, un abbandono felice ai ritmi popolari ucraini, al quale segue una marcia ironica, protagonista dell’ “Andantino marziale, quasi moderato”. E uno Scherzo in linea con il resto della composizione piena di riferimenti folklorici. Nel Finale, una pagina brillante con una fanfara trionfale dai ritmi accelerati, il giovane Caikovskij riprende la canzone “La gru”. “Piccola Russia” è impaginata assieme alla 5° Sinfonia, dove si ascolta il virtuosismo del corno Alexander Afanasiev, splendore puro con bagliori luminosi. La V° si riallaccia al tema del destino ineluttabile con il quale è costretto a scontrarsi l’essere umano. Sarà il Fato a vincere e l’uomo a soccombere in linea con l’umore desolato e pessimistico del compositore, delle oscillazioni sempre più orientate tra il lato oscuro e senza speranza e una visione del mondo baldanzosa che cerca impossibili serenità ed equilibrio, anzi che esplode letteralmente in una gioia dai colori selvaggi.
La coppia delle ultime due sinfonie è costituita dalla n. 3 in re maggiore, op, 29 “Polacca”, composta nel 1875, l’unica in cinque movimenti – Il titolo è un omaggio atemi popolari utilizzati provenienti dal patrimonio folklorico della Rutenia -, e, nella seconda parte, dalla 4° Sinfonia, composta nel 1977, un momento determinante con ingresso del musicista nell’universo femminile della ricca baronessa von Meck, sua mecenate e confidente per quattordici anni, alla quale è dedicata. Nelle note alla composizione a lei indirizzate da Ciaikovskij si legge “Il Fato, la potenza del destino che ostacola il nostro desiderio di felicità… che pende sulla nostra testa come una spada di Damocle e avvelena senza posa l’anima…Non sarebbe meglio abbandonare la realtà e sprofondarsi nei sogni?” La malinconia unita ad un intenso patetismo sono le caratteristiche che dominano e si rincorrono per tutta la composizione, illuminata da sprazzi dove campeggiano memorie di feste contadine all’insegna del vino e della gioia spensierata rincorse come un miraggio. Ma solo per un momento perché la consapevolezza del fato riemerge in tutta la sua possanza. Nel Finale, Allegro con Fuoco, le vigorose note della fanfara che rappresentano il destino sono in agguato come un memento e una minaccia fra i motivi popolari sovreccitati e vitalistici.
Quel che colpisce, è la qualità di questa orchestra, che procura immediatamente una sensazione che continua per tutte le esecuzioni, è la potenza di suono e la leggerezza che si apprezza soprattutto negli ottoni, virtuosistici e così duttili e impensabilmente morbidi. Per tutte le esibizioni, questa sensazione di un suono ineffabile resta come sospesa nell’aria, impone un ascolto attento di grande godibilità che motiva le ovazioni e gli standing ovation che salutano le performance di Valery Gergiev i i bis concessi.