Roma, 26 ottobre 2023.
Ci sono alcuni film, rispetto ad altri, che segnano un’epoca indipendentemente se la produzione è Kolossal o girato con mezzi limitati.
Oggi sono 60 anni dall’uscita di quello che a buon diritto possiamo considerare il capostipite della “commedia all’italiana”: I Mostri.
Tratto distintivo dei nostri attori, dei nostri registi, ma in questo caso, a maggior sostegno, di alcuni nostri impareggiabili sceneggiatori.
Anche il progetto di una serie di episodi, venti, concepiti sulla mostruosità dell’Italia del boom è una novità che verrà spesso ripresa negli anni successivi.
Age, Scarpelli, Scola, Maccari ed Elio Petri, inizialmente scelto per la regia, che verrà poi allontanato dal produttore Dino De Laurentiis in luogo di Dino Risi, si muovono in un contesto sociale grottesco, cinico, a volte persino violento.
Episodi di vario taglio e durata per due ore totali che esprimono situazioni al limite, paradossali, mettendo a nudo difetti, debolezze, inadeguatezze prettamente italiche.
E’ come se lo spettatore si trovasse davanti ad uno specchio vedendosi ritornata un’immagine deformata, comica, ma estremamente veritiera.
Dicevo che la scelta di esautorare Petri stava nella preoccupazione, da parte del produttore, che le storie ed i personaggi virassero su riferimenti politici troppo connotati.
Forse all’inizio degli anni sessanta Petri era in anticipo su certe tematiche, ma il suo valore verrà fuori prepotentemente, una decina d’anni dopo, con pellicole cult come “Indagine di un cittadino al di sopra di ogni sospetto”, “La classe operaia va in paradiso”, “Todo modo”.
Risi, reduce l’anno precedente dal clamoroso successo de “Il sorpasso”, dirige i due attori simbolo della pellicola miscelando con grande asciuttezza l’elemento comico a quello tragico.
I due attori, veri e propri Mostri di bravura, sono Vittorio Gassman e Ugo Tognazzi che recitano singolarmente ma anche insieme in alcuni episodi. Gli sceneggiatori, il regista, i due mattatori, in più di un episodio lasciano lo spettatore con il dubbio di chi sia il mostro.
Ce n’è per tutti i gusti, personalmente rivedo sempre volentieri “Che vitaccia”, con Gassman che nel ruolo di un baraccato, padre di una numerosa famiglia, senza una lira, con uno dei figli gravemente malato, che spende gli ultimi spiccioli rimasti per andare allo stadio a tifare la sua squadra del cuore, la Roma.
Anche “Vernissage” con Tognazzi che acquista una Fiat 600, simbolo del boom economico nostrano, festeggiando l’avvenimento con una prostituta di Lungotevere.
Per chiudere con “La nobile arte”, comico e drammatico nello stesso tempo, con Tognazzi, scalcinato organizzatore di boxe, che induce Gassman, pugile suonato e fuori dal giro, a rientrare in un incontro impari per una misera borsa di 300.000 lire.
Le musiche del maestro Trovajoli sono arricchite da successi dell’epoca, a significare proprio il contesto che stavamo vivendo.
La perfetta intesa di Gassman e Tognazzi, amici anche nella vita di tutti i giorni, ha fatto risaltare anche altri interpreti a corredo degli episodi.
Lando Buzzanca, Marisa Merlini, Daniele Vargas, Michèle Mercier, Mario Brega, tanto per citarne alcuni, tutti perfettamente integrati.
Anche la scelta del “bianco e nero” rende meglio l’idea e la differenzia nettamente, in meglio, da “I nuovi mostri” del 1977.