Roma, 28 agosto 2020. Tra le mille caratterizzazioni del costume italico, tra debolezze, paradossi, vari spaccati della nostra società, non poteva mancare un film che riprendesse tutte le contraddizioni del mondo del calcio; e chi meglio di Alberto Sordi poteva rappresentare la figura del presidente di una squadra? Mezzo secolo fa esce Il presidente del Borgorosso Football Club, regia di Luigi Flippo D’Amico, divertente testimonianza, a rivederlo oggi, di un calcio che non c’è più. Il calcio rigorosamente della liturgia domenicale, del panino imbottito per entrare presto allo stadio e prendere i posti migliori, delle maglie di lanella con i numeri dietro le spalle dal 1 al 11, del caffè Borghetti che scaramanticamente offrivi a tutti i tuoi vicini quando la squadra del cuore segnava e se per caso quella domenica vinceva largo uscivi ubriaco.
Sordi interpreta la figura di Benito, figlio di un vecchio presidente fortemente appassionato, che non sa neanche se il pallone è tondo o quadrato, ma viene coinvolto in questo strano mondo alla morte del babbo. La vicenda è ambientata in Romagna, terra sanguigna di spirito combattivo, mentre Benito viene da Roma, ingrigito e intimidito da anni di lavoro in Vaticano dove fa il filatelico, per cui l’impatto è traumatico e nel cercare di vendere al meglio i giocatori per sbarazzarsi della squadra, dopo la scomparsa del padre, provoca una grande contestazione, una vera e propria sommossa.
Benito, incoraggiato dall’alto dalla voce paterna, riesce a controllare la folla inferocita e promette impegno e investimenti per far grande il Borgorosso con un discorso da una finestra della propria casa di mussoliniana memoria.
Da lì inizia tutta una serie di avvenimenti che porteranno Benito a cambiare completamente vita e abitudini e l’impacciato impiegato del Vaticano si trasforma nel più sanguigno, focoso, improvvido, presidente di calcio.
La pellicola presenta tutte le peculiarità ed il carattere dell’universo calcistico nostrano, dal presidente vulcanico, al cinico direttore sportivo, dall’allenatore stregone che <<promito e mantingo>>, al rapporto tra alcune belle mogli e lo stesso presidente, dai tifosi passionali, irrazionali,che nel giro di poco tempo professano il tutto ed il suo contrario. La sceneggiatura, curata dallo stesso Sordi insieme a Zecca e Amidei, mette in evidenza tutti questi aspetti con caratteristi in gran forma come Carlo Taranto, nel ruolo del mister-stregone che fa il verso ad Helenio Herrera, Daniele Vargas, il parroco tifoso che tagliava la messa domenicale per sbrigarsi ad andare allo stadio, Omar Sivori nella parte di se stesso nel colpo di scena finale che fa ritornare il consenso pieno della gente intorno a Benito, fino alla presenza di professionisti veri come Aldo Bet, Valerio Spadoni e Orazio Testa, vero portiere agile e scattante del Bologna di allora.
Alcune scene appartengono ormai alla storia come quando Benito presenta ai propri collaboratori un tavolo formato ping-pong, fatto venire apposta dall’Inghilterra, che rappresenta un campo di calcio con delle pedine che simulano i giocatori. Alla spiegazione di come funziona quell’applicativo Benito tira fuori un fiorire di schemi, puramente teorici, dove:<< il giocatore A passa a B, che si sposta nella posizione C, che scivola verso D, che si dirige convergendo da destra verso sinistra, scatta, tira, goool>>. Alla domanda di un collaboratore: <<presidente ma l’avversario? Che centra l’avversario deve subire>>…
Poi la famosa frase d’incoraggiamento detta nello spogliatoio prima dell’ingresso in campo della squadra: <<chi si estranea dalla lotta è un gran figlio di….>>.
Una volta Gianni Brera disse: <<il calcio è davvero il gioco più bello del mondo per noi che abbiamo giocato, giochiamo e vediamo giocare>>. E’ così e al di la della modernità dei tempi il mondo del calcio, oggi, rappresenta tutto ciò che Alberto Sordi ha interpretato nel film; per questo dopo cinquant’anni è ancora attuale.