Spettacolo

Accademia Nazionale di Santa Cecilia – Kochanovsky dirige “Sogni d’inverno” e “Le Campane”

teatro KochanovskyRoma, 3 dicembre 2017 – Un gradito ritorno  sul palcoscenico del Parco Della Musica: l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia ha ospitato nel programma settimanale, il giovane e quotato direttore d’orchestra Stanislav Kochanovsky, russo della generosa fucina di San Pietroburgo con “Sogni d’inverno”, la Prima Sinfonia di Ciaikovskij e “le Campane” di Rachmaninov, brani accomunati dall’identica ispirazione descrittiva, che per motivi diversi non sono abitualmente proposti ma che l’Accademia, sotto l’attenzione sollecita e brillante del Maestro Michele dall’Ongaro, suo Sovrintendente e Direttore Artistico, mostra come  meritino  tutta l’attenzione suscitata.
 
La prima Sinfonia del venticinquenne Ciaikovskij è una opera “a programma” con chiaro intento descrittivo, come testimoniano le note alla composizione. Intitolata “Sogni invernali”, l’opera si articola  in un primo movimento sotteso dal motivo ispiratore “Sogni di un viaggio d’inverno”, cui segue un “Adagio Cantabile, ma non tanto” che vuole raccontare una “Terra Desolata, terra di brume”, per evolversi, poi, in uno Scherzo e nel Finale. Molto esigente e critico del proprio lavoro, il compositore continuò a lavorare sulla sua Sinfonia dal 1866 fino al 1874.   L’ascolto è un viaggio tra le distese innevate russe, con le stelle  che effondono una luce calma, con lo splendido tremolio degli archi che esalta un sentimento di mistero. Il paesaggio ben presto varia, mostrando un lato notturno sotto gli accordi delle viole e dei violini che accendono le altre sezioni orchestrali dando vita ad uno di quei momenti musicali con ricca cantabilità che saranno travasati poi nei balletti  con il  clima fiabesco e le incantevoli melodie dolcemente malinconiche. Il  terzo movimento tratto da un suo lavoro, la ‘Sonata per pianoforte in do diesis minore’, non ha alcun titolo ma lascia immaginare dei pattinatori che disegnano ghirigori su un laghetto ghiacciato. Nel Finale, in un clima febbrile e festoso così caratteristico ciaikovskijano, si scatenano motivi tratti da canzoni popolari.  
 
Il caso e le felici congiunture si alleano per indurre Sergej Rachmaninov a comporre “Le Campane”, per soprano, tenore, baritono, coro e Orchestra. “Il suono delle campane si ode in tutte le città russe da me conosciute […] Esse accompagnano ciascun russo dalla culla alla tomba e un compositore non può sottrarsi alla loro influenza […] Per tutta la vita ho udito con piacere il loro scampanio dalle melodie e dai caratteri più diversi, dal gioioso tintinnio al mesto rintocco funebre”,  avrebbe scritto nelle memorie. È il 1913, il compositore è a Roma, vive nel suo fascino, riesce anche a frequentare a piazza di Spagna la casa che aveva ospitato l’amato Ciaikovskij, ad entrare nel clima della Capitale, ad immergersi nei suoi suoni. 
Nasce così quest’opera, scandita nei quattro tempi classici di una sinfonia, ma che, per la massiccia presenza della parte vocale, soli e coro, potrebbe essere considerata una Cantata. L’opera si muove sulle suggestioni del poema di Edgar Allan Poe, nella traduzione del poeta simbolista russo Konstantin Bal’mont. (Il testo della composizione del musicista in inglese è curiosamente la traduzione del poema dal russo di Bal’mont).  Il susseguirsi dei movimenti simbolicamente si snoda sul corso della vita dai fulgori luminosi dei campanellini argentei della nascita che ricordano quelli delle slitte, ai suoni caldi delle campane d’oro agitate per le nozze, alle pesanti campane di bronzo che segnano il ritmo del terrore fino ai rintocchi a morte delle campane di ferro che accompagnano alle tenebre della tomba. Ma tutta la composizione, persino i primi due movimenti  più gioiosi, è sempre sottesa dal celebre incipit delle quattro note del Dies Irae gregoriano. “Le campane” testimonia la maestria raggiunta dal compositore nell’uso delle voci.
Forse per il colossale organico, l’opera è proposta assai raramente, evento di cui si doleva Rachmaninov, che la considerava la migliore delle sue composizioni.
A Roma venne  eseguita  per la prima volta nel 2009 da Antonio Pappano, riportando anche allora un vivissimo successo. Fondamentale per decretarlo, oltre all’orchestra ceciliana al top sotto la guida di Kochanovskj, l’intervento del coro, curato dal bravissimo Ciro Visco e la presenza di prestigiosi solisti come Evelina Dobraceva, Sergey Radchenko e Dimitry Ivashchencko.

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