La danza sognante di Adiarys
Teatro dell’Opera – “La Bella addormentata nel Bosco”, ripresa da Paul Chalmer dall’originale di Marius Petipa
Aurora danza e le sue agili movenze riempiono il palcoscenico: sono il suo sorriso dolce, le gambe flessuose dai muscoli levigati, le braccia mobilissime, quei passettini ferocemente delicati, che impongono una fatica che solo lunghe ore di esercizi fisici riescono a declinare, quel modo di strappare alle leggi inesorabili della fisica movimenti che rendono flessibili persino le ossa, e si spingono al di là del profilo del corpo disegnato da un redivivo Degas.
Adiarys Almeida, Aurora, danza e con lei l’alta scuola di Alicia Alonso riprende visibilità, Cuba e il suo celebrato Ballet.
Accanto, Florimondo si incarna in Alessandro Macario.
Il corpo di ballo al gran completo partecipa allo spettacolo. Ma qui siamo al teatro dell’Opera di Roma e “La bella Addormentata nel Bosco”, capolavoro coreografico del marsigliese Marius Petipa, a capo del corpo di ballo dei teatri Imperiali “Marijinskij” di san Pietroburgo, geniale partitura musicale di Ciaikovskij, ormai sulla vetta delle classifiche fra i più bei balletti narrativi della belle époque, prende vita in un allestimento fiabesco come si conviene, serico nei costumi dalle tinte pastello come occorre, deliziosamente kitsch, con le sue pareti di rose che ad arco incendiano di rosso il palcoscenico, le sue foreste che si chiudono con rami e radici a proteggere il magico sonno, tutto dovuto all’estro creativo, come anche all’ alta valenza artistica di Aldo Buti, cha ha nel proprio palmarés anche la lunga militanza con nomi prodigiosi e di tutto rispetto come Anna Anni, Piero Tosi e Pierluigi Samaritani.
Ecco dunque fondali dipinti con paesaggi che evocano terre di mezzo, dove il sogno, l’onirismo e la realtà temperano l’ossimoro lasciando alla perfida strega Carabosse (Manuel Parucini) e alla Fata dei Lillà (Marianna Suriano) il compito dell’eterna esemplificazione fra il Male e il Bene: terribili assoluti nella vita comune, indispensabili complementi di ogni evento nella sua rappresentazione. Spettacolo già visto e apprezzato quattro anni fa che completa il calendario primaverile e si spinge in proiezione verso l’aria aperta di Caracalla, quest’anno finalmente liberata dagli altoparlanti distorti della festa dell’Unità talmente prossima da interferire con le proposte teatrali.
Quando Ciaikovskij propose la sua partitura de “La Bella Addormentata nel Bosco”, che si posiziona per data di composizione, il 1890, al centro della grande triade ballettistica da “Il lago dei cigni”del 1876 e “Lo schiaccianoci” del 1892, si poté scoprire come il genere, malgrado tutte le concrezioni che lo impastoiavano, in realtà potesse agilmente svicolare da quelle musiche banali e scontate alla Minkus, per intenderci, pur piacevoli all’ascolto, che hanno il centro espressivo nel décor e nel virtuosismo, che non sapevano raccontare, e librarsi verso drammatizzazioni sonore, diventare essa stessa personaggio, lasciando scorrere fino al momento finale della narrazione coreutica tutto l’apparato formale del divertissement, codificato e reso obbligatorio. Si tratta dei cosiddetti effetti, danze di genere che servivano per l’esibizione virtuosistica delle prime donne, dei divi, si direbbe per strappare l’applauso.
Riprodotti oggi – e d’altra parte sarebbe opportuno rimaneggiare un capolavoro, laddove la tendenza più attuale è la lettura filologica di qualsivoglia opera di ingegno? – , non obbediscono più alla legge della necessità espressiva e appaiono inutili fronzoli.