Roma, 5 settembre 2019 – Il 5 settembre del ’59, sessant’anni oggi, venne presentato al Festival di Venezia un film destinato ad entrare nella storia della cinematografia italiana: La Grande guerra.
Mario Monicelli, regista, Age, Scarpelli e Vincenzoni, sceneggiatori, congegnarono una pellicola che miscelava dramma e comicità nel contesto dell’evento bellico della prima guerra mondiale. Il tema trattato era abbastanza scivoloso perché infarcito di retorica in cui il patriottismo ed il mito militare di una guerra eroica per gli italiani, erano intoccabili e la sceneggiatura prevedeva due protagonisti che invece tentavano di tutto pur di imboscarsi e rischiare il meno possibile la pelle.
Nessun dubbio sul fatto che Monicelli rifiutasse tali stereotipi, anche se dovette faticare non poco per vincere le resistenze del produttore Dino De Laurentiis che inizialmente sposò con entusiasmo il progetto, in special modo l’idea di mettere insieme due colossi come Gassman e Sordi, salvo poi volere per il finale una conclusione più a lieto fine.
Monicelli riuscì insieme agli sceneggiatori ad imporre il drammatico finale della fucilazione da parte degli austriaci dei due vigliacchi, Sordi e Gassman, proprio a volerne simboleggiare il riscatto finale.
Il connubio tra la tragedia storica e l’impostazione della commedia all’italiana fu vincente perché oltre al racconto dell’assurdità del primo conflitto mondiale furono tratteggiati personaggi dai vari contorni e dalle differenti estrazioni sociali. Si pensi al romano Jacovacci, Sordi, in contrasto col milanese Busacca, Gassman, alla prostituta Costantina, Silvana Mangano, al tenente buono Gallina, uno spettacolare Romolo Valli, allo spigoloso sergente Battiferri, Livio Lorenzon. Tutte figure di varia umanità che riempirono il film, tra sarcasmo e tragedia, al pari di un’eccellente fotografia di Giuseppe Rotunno, bravo nel particolareggiare le scene di massa.
Sordi nel ruolo dello sfaticato e dissacrante romano era ormai una garanzia, mentre un’ulteriore conferma si ebbe da Gassman che dopo lo strepitoso successo de I soliti ignoti, sempre diretto da Monicelli, entrò di diritto tra i grandissimi della commedia all’italiana.
La pellicola ebbe un tributo trionfale a fine proiezione da parte del pubblico del Festival di Venezia che probabilmente influenzò la giuria ad assegnare il Leone d’oro ex aequo col film di Roberto Rossellini Il generale Della Rovere.
Oltre al Leone d’oro ci furono un premio speciale “per la sua interpretazione” ad Alberto Sordi, una nomination come miglior film straniero per l’Oscar del ’60, tre David di Donatello al produttore De Laurentiis ed ai due protagonisti Gassman e Sordi e due Nastro d’argento ad Alberto Sordi, attore protagonista, e Mario Garbuglia, quale migliore scenografia.
Un’ultima annotazione per la censura che all’epoca non era tenera ma che permise l’avallo, in alcuni dialoghi del film, di un linguaggio per così dire colorito; celebre a questo proposito la scena di quando Sordi e Gassman devono rientrare nel loro presidio e vengono presi a fucilate da una guardia prima di chieder loro chi fossero, con Sordi che dice: “ahò ma che fai spari?” e la guardia: “chi siete?”, risposta di Sordi: “semo l’anima de li mejo mortacci tua, ma che fai prima spari e poi dici chi è?”…