Roma, 7 novembre – Ancora una volta Solange e Chiara tornano a respirare la vita, lo fanno nelle pagine drammaturgiche di Astra Lanz, liberamente ispirate alle protagoniste de “Le Serve” di Jean Genet, in questa violenta e suggestiva riscrittura teatrale, che prima di tutto, è un esperimento linguistico ben riuscito di meta teatro, con una serie di apporti e omaggi, a “La Casa di Bernalda Alba” di García Lorca, all’”Inferno” di Dante, a Cechov, e tantissimi altri ancora. Lo spettacolo, dopo aver debuttato a Calcata, presentato e prodotto da Ass.Ne Dillinger, per l’ Arte CalcataTeatroCineFestival, rassegna di teatro e cinema, che si apre sulle regie e sperimentazioni indipendenti, continua ora il suo percorso in forma di autoproduzione, sempre con il sostegno di Dillinger, al Teatro Sala Uno.
Solange e Chiara, assassine in obbedienza ad un insopprimibile bisogno di ricongiungere ad uno la dualità delle loro nature e delle pulsioni più segrete, sono spinte verso la padrona da un odio e un amore strazianti, che porta a galla il loro malessere e le spinge al delitto, che per le sue modalità e implicazioni sociali aveva suscitato l’interesse degli intellettuali dell’epoca, dei Surrealisti (Breton, Elouard, Buñuel), di Picasso, di Sartre, dei socialisti, dello psicanalista Lacan, per citare i più noti.
Con Jean Genet, ispirato dal fattaccio avvenuto quasi quindici anni prima, nella Francia del 1933, le sorelle Christine e Léa Papin, da un lato persone scialbe e cameriere devote e impeccabili dall’altro efferate criminali, diventano un’occasione per esprimere il suo teatro e le tematiche che gli erano più care, a cominciare dal tema del doppio e dal gioco perverso ed avvolgente dove la realtà si pasce della fantasia e a sua volta viene fagocitata dalla rappresentazione di essa, in un continuo ribaltamento fra essere e apparire, fra la verità e la immaginazione che ne forgia e la mistifica. La distanza fra le due facce diventa il regno di una forma psicotica del vivere.
Le due donne, quando restano sole, a vicenda impersonano la padrona (perciò la Lanz ha voluto presentarcele come due attrici mancate), cercando nel desiderio vampiresco di imitare la diva una porzione di realtà e una trasfigurazione impossibili. Perché è impossibile camminare sulle orme degli altri. La signora viene idolatrata, ammirata, insultata, odiata e accuratamente imitata, cavalcando la sua ombra, indossando i suoi vestiti più belli, i gioielli più preziosi, rappresentandola convulsamente, per essa viene programmato e ritualizzato un assassinio, avvelenando la sua tisana di tiglio, strozzandola con la bella sciarpa di seta in un gioco a rimando fra le due sorelle che recitano a turno il ruolo della padrona e della serva e chi interpreta la serva non recita se stessa ma l’altra sorella: è un alternarsi e fondersi inestricabilmente di delitto reale e di rappresentazione teatrale dello stesso, una simulazione che mette in moto una sofferenza lacerante, un gioco che scava il suo alveo quasi all’insaputa loro.
Chiara e Solange, che non sono capaci di esistere, diventano una metafora esistenziale, trasformate dal loro stesso delirio: incapaci di “essere” , assumono come metro, l”essere l’altra”, unico modo di raggiungere l’essenza dell’essere, e quindi vivere.
Un giorno, nel loro gioco folle trovano in un cassetto della camera della Signora delle lettere compromettenti per Fabrizio, il regista suo amante, e lo denunziano alla polizia. Tradotto in prigione, Fabrizio saprà dimostrare la propria innocenza e, quando già si è risaputo che sarà scarcerato, le due sorelle hanno quello scarto che permette di colmare il gap fra vita e rappresentazione e mentre Chiara si uccide bevendo la tisana avvelenata, Solange attinge alla sublimazione del suo odio.
Nella suggestione dello spazio della Sala Uno, arredato con pochi essenziali elementi scenici, le lunghe sciarpe rosse, gli stiletti dal tacco altissimo rossi, e poco più, scelte di Manuela Barbato che cura anche le luci, protagoniste straordinariamente brave sono la stessa Astra Lanz, Chiara, e Marina Biondi, Solange, mosse da una regia asciutta di Carlo Benso. che lascia alla loro sensibilità il peso dello spettacolo.