Johann Strauss Jr, Mjaskovskij e Ciajkovskij i grandi Maestri celebrati
Incastonato fra uno dei più celebri valzer sinfonici di Johann Strauss Jr., Voci di Primavera , op. 410 e la voce malinconia della Sinfonia n.5 in mi minore op. 64 di Pëtr Il’č Ciajkovskij, ecco il Concerto per violoncello e orchestra di Nikolaj Mjaskovskij, musicista nato nel 1881 in Polonia, dunque appena un anno prima di Stravinskij, ma di ben differente notorietà. Mjaskovskij giunse tardi alla consapevolezza che la musica sarebbe stata il suo destino. Anzi, la sua formazione lo spinse dapprima verso la carriera di ingegnere militare. Poi, fatalmente, come per tanti suoi colleghi russi -Musorgskij, Borodin, fra gli altri -, il suo interesse si rivolse alla musica. Anche la notorietà arrivò tardi, malgrado compositori come Prokofiev, di dieci anni più giovane e suo amico e collega di Conservatorio a San Pietroburgo, inserissero sue opere nei loro recital pianistici. Tuttora, è ben difficile ascoltare brani di Mjaskovskij.
È merito dunque di Mario Brunello, uno dei più significativi solisti di violoncello di livello mondiale di avere proposto e di Bruno Cagli, direttore artistico dell’Accademia di Santa Cecilia, di averlo accolto nella ricca programmazione questo interessante protagonista della musica del ‘900.
Il Concerto per violoncello e orchestra, il suo lavoro più noto ed eseguito, un’opera degli ultimi mesi del 1944, gli valse il Premio Stalin, come dire il passaporto verso una certa tranquillità economica, perché il nostro viveva dei diritti d’autore. (Un secondo premio Stalin gli fu assegnato anni dopo, ma il compositore non ne godette i benefici perché la morte lo aveva colto nel 195o). La sua crescita artistica si irrobustì sulla consapevole resa alle influenze di vari ambiti musicali. Fondamentali per lui musicisti come Reger, Ciaikovskij, Strauss e Skrjabin, ma anche la consapevolezza del ruolo sociale della musica e non solo per una adesione alle direttive politiche del partito. E tuttavia questo non lo preservò dalle accuse di “formalismo” che il potente Zdanov gli andava lanciando contro, tanto che tutta la sua opera pianistica dovette subire l’ostracismo in patria, né più felice fu il destino dei suoi lavori sinfonici.
Il Concerto per violoncello è un brano dalla profonda sensibilità melodica. In esso non sono presenti di quei salti dinamici, che spesso hanno una funzione virtuosistica e propongono un’enfatizzazione di un’idea musicale, anzi, nel primo movimento (Lento ma non troppo – Andante- Tempo I), predomina il tono elegiaco, con la voce dello strumento solista che si connota liricamente, e solo un éclat dato dall’inserimento di una danza popolare. Ma già nel secondo movimento si recupera quel clima delicato e trasparente, quell’allure tranquillo, quelle melodie che sembrano attingere ad una natura deliziosamente pacata. E tutto ciò è messo magnificamente in luce dalla bacchetta di un direttore assai amato a Roma come l’austriaco Manfred Honeck e dall’Orchestra che riesce egregiamente nella sua funzione principale, far musica cogliendo la specificità sonora e il clima degli autori che presenta.
Il programma si è aperto sulle note travolgenti di uno dei più bei valzer di sempre, “Voci di Primavera”, scritto da Johann Strauss junior, avvero il re di quel ballo che incantava le corti, che permetteva di cingere fra le braccia la dama senza incorrere in veti scandalizzati. Johann junior, amatissimo viennese con la danza al piede, era il trait d’union fra la musica colta e quella popolare. Persino Brahms lo ammirava profondamente. Nella ricca aneddotica sulla sua vita, si racconta che la moglie di Strauss dopo un concerto si avvicinasse al celebre al compositore, chiedendogli di autografarle il ventaglio (pratica comune nella belle époque) e che egli vergasse le prime note de “Il bel Danubio Blu”, aggiungendo “purtroppo non di Brahms”.
Il valzer esiste anche in una versione per soprano e orchestra ricca di sopracuti, di picchiettati e di trilli vertiginosi che evocano proprio i giri di valzer con il cavaliere che tiene stretta la sua dama facendola vorticare per la sala.
Ultimo momento musicale del programma con la “Quinta” di Ciajkovskij, nella quale è pregnante il tema del destino e della lotta con esso, una lotta impari, vissuta in modo pessimistico e senza speranza fino alla capitolazione finale, così come la sensibilità malata e ossessiva del suo autore imponeva. Toni drammatici, febbrili, un clima melodico acceso, e poi lirismo fino a quel valzer che precede il “Finale” dove ricompare con una esplosione lussureggiante di colori orchestrali una sorta di gioia selvaggia e irrefrenabile.