Maternity Blues (from Medea)
Roma, 23 marzo – È bello e significativo che una bravissima attrice come Elena Arvigo passi con disinvoltura dai palcoscenici di Roma Capitale a quelli di Milano: ciò sta a significare uno spessore artistico e di credibilità attoriale consolidato in tanti anni di impegno e di sacrifici, nonostante la ancor giovane età della artista ligure.
Reduce dal successo romano ottenuto con ‘Donna Non Rieducabile’, memorandum teatrale su Anna Politkovskaja di Stefano Massini per la regia di Rosario Tedesco, Elena Arvigo torna a dirigere Maternity Blues (from Medea) in scena al Teatro Out Off di Milano sino al 29 di marzo. Protagoniste del testo di Grazia Verasani sono Amanda Sandrelli, Eloide Treccani, Xhilda Lapardhaja e la stessa Elena Arvigo.
E seguiamo il percorso compiuto dalla brava attrice e regista nell’allestimento di questa opera: Elena Arvigo sceglie di parlare di un argomento tanto delicato e antico quanto attuale: Medea è l’eterna domanda sulla legittimità di dare la vita e di dare la morte. Quattro storie di donne: madri infanticide che vediamo chiuse, recluse, in uno spazio angusto – ciascuna con il proprio mondo di ricordi, libri, sigarette, lettere. Sono là a condividere e reinventarsi “dopo”: dopo il buio di quel gesto, di un istante che ha diviso il mondo e la vita in due metà. In un ospedale psichiatrico giudiziario, che riporta subito a quello famoso di Castiglion delle Stiviere (Mn), si incontrano dunque la dolce Marga, l’aggressiva e fragilissima Eloisa, la giovanissima Rina e la più consapevole Vincenza. Chiuse all’interno dell’OPG, trascorrono il loro tempo espiando una condanna, che è soprattutto interiore, per il gesto che ha vanificato anche le loro esistenze. Dalla convivenza forzata – che genera la sofferenza di leggere la propria colpa in quella delle altre – germogliano amicizie, spezzate confessioni, un conforto senza consolazione.
La riflessione è sull’istinto materno. Chi e’ Medea? Chi sono queste donne ? Quanto e’ rassicurante creare mostri per non fermarsi a pensare?
Non si pretende di psicologizzare azioni così “tragiche” da restare comunque inesplicabili, ma di investigare sui punti di rottura. Ci interessa scavare in queste zone buie affinché attraverso il teatro sia possibile tentare di favorire una comprensione, per gli artisti coinvolti e il pubblico insieme, più ampia e vasta dell’animo umano. Questa comprensione non implica necessariamente né l’assoluzione né la condanna. Cerchiamo di fare un teatro pericoloso nel senso etimologico della parola: dal latino periculum, ossia esperimento, rischio. Un teatro che cerca un po’ di luce e speranza lì dove sembra non esserci che tenebra.
Il tema e’ affrontato da un lato seguendo la traccia di Grazia Verasani nel suo libro From Medea, dall’altro confrontandosi direttamente con le attrici attraverso delle improvvisazioni durante la fase di creazione dello spettacolo.