Roma, 4 febbraio – Don Giovanni, aduso da secoli ad essere marionetta nelle mani di chi lo indossa, lo trasforma, accentua il suo ghigno satiresco, esalta la sua mascolina virtù, lo imbottisce come un pupazzo di parole e lo trascina sulle tavole di un palcoscenico, per adornarlo di sentimenti e aberrazioni. O lo scioglie in un mare profondissimo e vorticoso di note come fa Mozart che gli regala l’illusione del gioco per spingerlo poi verso gli abissi del nulla estremo. Don Giovanni resta assiso nella sua eternità di archetipo fondamentale della cultura europea. Creatura “dei lumi”, simbolo della quête, di un impossibile assoluto, lui è l’ indagatore dell’Oltre, incarnazione di una fame disperata e insaziabile, che va al di là dello stesso personaggio-mostro settecentesco inesausto di sesso, come assoluto inattingibile, come dannazione, che va danzando la sua vita stringendo tra le braccia la Morte,
Qui, al Teatro Quirino di Roma, don Giovanni, già fin dall’apertura del sipario, si allena a esplorare con il suo passo ristretto i confini della cornice dorata che orna il palcoscenico trasformandolo in una di quelle eleganti tele con scene di genere dei primi del Settecento, e lui in una figurina incipriata del suo tempo in attesa di qualcuno che giunga ad indurlo a seguirlo su orme nuove: ed ecco quelle seducenti lasciate da Alessandro Preziosi sul palco del Quirino.
Ora l’arroganza, l’egoismo, la superficialità, il sarcasmo, l’ironia, la dissacrazione, ma anche l’ambiguità, insita come naturale complemento nel personaggio, possono rivestirsi delle belle fattezze dell’attore, del suo costume d’esordio di lucido raso damascato, delle trine che l’ornano, della sua elegante parrucca incipriata mentre intorno il gioco scenico della verisimiglianza lascia il posto alla fantasia tecnologica, alla multimedialità, al farsi e disfarsi di immagini che invadono la scena cercando un ruolo da protagoniste, a partire da quelle tre arcate fisse che ornano la parete del fondo del palco, che si prestano al travestimento, a volte suggerendo visioni che sbocciano in foreste, altre in portoni di una città antica, altre sono contenitori di un liquido trasparente sul quale sembrano sciogliersi e vagare tremolanti grumi di sangue, come nell’incipit dello spettacolo che mostra in controluce in una sorta di danse macabre la scena cruenta dell’assassinio del Commendatore, padre della sedotta donna Elvira nel Chiostro del convento che la ospitava. O ancora diventano cimitero verticale per albergare la statua di pietra del morto. Spesso le immagini sono accompagnate e arricchite da effetti speciali 2.o che curano soprattutto la spazialità temporale del suono, con le musiche originali di Andrea Farri. L’utilizzo degli effetti speciali ( scelte artistiche firmate da Fabien Iliou con il contributo fondamentale delle luci di Valerio Tiberi ) rende indimenticabile la scena finale quando don Giovanni sotto la stretta del Commendatore, rifiutando di pentirsi dei peccati, viene trascinato nelle fiamme dell’inferno.
Smanioso e inafferrabile, don Giovanni/Preziosi percorre una vasto arco emozionale: è beffardo, malinconico, burlador, gioca sui privilegi della malia di un linguaggio fascinoso con il quale esercita il ruolo di conquistatore. Servette e signore livellate dalla condivisione del rito democratico della seduzione che trascina nei gorghi di una passione esibita con la parola, consapevole dei privilegi degli aristocratici natali. “Non pago perché nobile”: era la formula di rito all’epoca. Tutti ne fanno le spese, i fornitori, persino il suo alter ego, Sganarello, che Molière ha voluto brillante, scanzonato ma anche saggio (Qui, il ruolo è sostenuto egregiamente da Nando Paone), a tratti pauroso e comico, a tratti pieno di bonomia e buon senso, costretto a seguire le follie del padrone, ma non per questo lontano dai precetti di una Chiesa che onora i morti e non consente si irrida il Cielo.
In questa regia, curata dallo stesso Alessandro Preziosi, l’aspetto comico è spesso sottolineato dal taglio cinematografico di alcune segnalate scene, come quando don Giovanni, giunto al villaggio si diverte a suscitare l’amore di due contadinotte, aizzandole a contendersi a spintoni i suoi favori. Mentre lui è esaltato dalla competizione, è, tuttavia, pronto a raccogliere la sfida dei fratelli di donna Elvira, don Carlos e don Alonso, venuti a lavar con il sangue l’affronto subito dalla ragazza rapita dal convento.
Lo spettacolo si avvale di un cast affiatato con una donna Elvira/Lucrezia Guidone piena di temperamento, elegantemente vestita come il resto della compagnia da Marta Crisolini Malatesta.