Il divino Rudy
Roma, 28 giugno – Eleonora Abbagnato lo vuole accanto in questa esperienza, ad apertura di stagione estiva, sul palcoscenico di Caracalla per una serata a lui dedicata, per omaggiarlo, certo, ma anche per dare al suo corpo di ballo quello stimolo in più, facendolo interagire con i classici, i balletti narrativi ottocenteschi, la danza accademica vertice di un modo di ballare sulle punte e nerbo di ogni repertorio coreutico.
Lui , il nume, è Rudolf Nureyev, protagonista assoluto di questa serata profumata d’erbe selvatiche che il Teatro dell’Opera destina al suo pubblico vacanziero. Rudolf Nureyev, memoria di un corpo che obbedisce alle correnti segrete che spirano nell’aria e si libra sul palcoscenico, come una piuma, come l’ala di un gabbiano, dopo essersi liberato dalle strettoie del peso: il divino ballerino. Nureyev la fama che cerca in sé il consenso e reinnesta le radici del grande balletto narrativo: Nureyev, il coreografo. E sullo sfondo, vivissime, le impressioni di una vita assolutamente romanzesca, dalla nascita improvvisa e imperiosa su un treno in corsa nelle steppe mongole, all’ eco come concrezioni su una fama che si spargeva a macchia d’olio per l’Europa, no, per il mondo intero. E la fuga rocambolesca all’aeroporto di Parigi durante una tournée del Kirov in Occidente in quel lontano 1961.
Ora quel mondo che lo conosce di nome è suo, del suo straordinario talento, delle doti non comuni anche di memoria e la voglia e il rigore chiamati in azione per ricreare qualcosa che aveva fatto parte di sé, quel balletto magnifico sulle pagine musicali di Glazunov, “Raymonda”, creatura dell’amatissimo Marius Petipa, che rimonta con cura filologica, e lo porta con sé fino a farne un punto di riferimento. Raymonda è una fanciulla fidanzata con Jean de Brienne chiamato in Palestina per una crociata. Durante la sua assenza, il cavaliere saraceno Abderakhman cerca di rapirla. Ma proprio quando già sembra riuscito nell’intento, giunge De Brienne , sconfigge il rivale e dà inizio ai preparativi per le nozze con un fastoso divertissement ungherese.
A Caracalla, a cura di Patricia Ruanne e Frédéric Jahn, è stato rimontata la coreografia di Nureyev del 1964 del terzo atto, quello ungherese, che offre l’opportunità al pubblico di ammirare la grande crescita artistica e gli indubbi miglioramenti tecnici della nostra compagnia, secondo gli auspici e gli intenti dell’Abbagnato che sta lavorando proprio sul repertorio per ottenere tali esiti. Sul palco l’étoile internazionale Friedemman Vogel, artista di gran talento già apprezzato dal pubblico romano, certamente in perfetta sintonia con le necessità coreutiche di Nureyev che tendeva a privilegiare i ruoli maschili. Vogel, Premio Losanna 1997 e principal dancer al Balletto di Stoccarda, è ospite di teatri prestigiosi come il Bolscioi di Mosca, il Mariinsky di Pietroburgo e l’English National. A Caracalla, Vogel è l’ardito De Brienne venuto a reclamare fra i fasti del grand divertissement ungherese la fidanzata (Rebecca Bianchi), così come è pronto a rivestire i panni di Siegfried, danzando con Alessandra Amato la Polonaise del I Atto sulla musica di Čajkovskij e il pas de trois del Cigno nero, III atto con Alessandra Amato (Odile). È affidato a Claudio Cocino, invece, il ruolo del protagonista nella scena delle ombre della “Bayadère” di Marius Petipa su musica dell’esperto Minkus. “La Bayadère” è ispirato a “Sakuntala” di Kalidara e narra di Nikya innamorata di Solor, che la ama ma è promesso a Gamzatti, figlia di un raja la quale, irritata e gelosa, invia alla rivale un cesto di fiori che nasconde un serpente velenoso che la uccide. Durante le nozze fra Gamzatti e Solor in una scena nel regno delle ombre, Nikya e la figlia del raja si incontrano. Poi, mentre viene celebrato il matrimonio, il tempio crolla seppellendo i due sposini. Del balletto originario in tre atti, viene riproposto soltanto l’atto del regno delle ombre, considerato il capolavoro assoluto di Petipa.
Una curiosità che riguarda i balletti scelti: “Raymonda” è stata la prima coreografia del divino Rudy, dopo aver lasciato clamorosamente l’Unione Sovietica nel 1961 e “”La Bayadère” fu l’ultimo suo impegno prima di morire per AIDS a Parigi nel 1993, a soli cinquantaquattro anni.