Spettacolo
Accademia Nazionale di Santa Cecilia- Orozco-Estrada dirige il “Sogno” di Mendelsshon e la Quinta di Beethoven
Del sogno e della furia
L’Accademia Nazionale di Santa Cecilia per il programma sinfonico settimanale con la direzione del bravo Maestro Andrés Orozco-Estrada propone un viaggio sonoro tra le atmosfere incantate del “Sogno di una Notte di Mezza Estate” e le possenti tonalità della Quinta di Beethoven.
In una notte lunare, segnata dalla dolcezza del clima estivo a ridosso dell’Atene del buon governo e della bellezza, in una foresta popolata di elfi e di fate, di rozzi artigiani e di nobili fanciulle, di sposi reali e della loro corte, e di un folletto dispettoso che si chiama Puck e distilla il succo di viola per trasformare la realtà e la visione di essa, si svolgono le avventure del “Sogno di una Notte di mezza estate”, commedia trionfale di Shakespeare, seducente per la carica vitalistica e sognante, aperta a svariate letture e interpretazioni, come molte opere del Bardo.
La commedia era arrivata all’attenzione del diciassettenne Mendelssohn nella versione romantica trasposta in tedesco da Schlegel, e gli aveva ispirato un’ouverture, sottesa dall’intento di raffigurare in musica la materia variegata offerta dalla pagina letteraria. Ovviamente condizionata dalla versione schlegeliana, l’ouverture si apre con un accordo di flauti che introduce subito nel mondo fiabesco dove regnano Oberon, re degli Elfi, e Titania, regina delle Fate. E con loro un mondo arricchito di creature notturne, con le loro magie, evocato dai violini, dove Bottom, il capo degli artigiani giunti per onorare le nozze di Teseo e Ippolita, ospite della Foresta, diviene incredibilmente l’amante di Titania, malgrado la testa d’asino e il poderoso raglio regalatogli dal dispettoso Puck con la sua bacchetta magica. Quasi venti anni dopo, nel 1843, Mendelsshon venne incaricato dal re di Prussia di scrivere le musiche di scena per un allestimento teatrale del “Sogno”.
Questa la genesi dell’opus 61 per soli, coro femminile e orchestra che ingloba l’ouverture dell’adolescenza e si articola in ulteriori sette tappe: Scherzo, Lied con coro, Intermezzo, Notturno, Marcia Nuziale, Danza dei clown e Finale.
Al soprano Maura Menghini (primo elfo) e al mezzosoprano Francesca Calò (secondo elfo), sostenute dal pregevole coro femminile di Ciro Visco, l’incarico di ricreare le atmosfere incantate della composizione, la cui celebre Marcia Nuziale è forse il brano più eseguito al mondo.
Ta-ta-ta-taa, ovvero sol-sol-sol-mi: cambiamento di registro e di clima, ed eccoci nel mondo fatale del destino che incombe sull’uomo, e nel brano sinfonico più conosciuto, più amato e più saccheggiato al mondo. È l’incipit della Sinfonia n.5 di Ludwig van Beethoven che balla John Travolta/Toni Manero nella “Febbre del Sabato sera”, quella stessa drammatica sequenza di note tre brevi in levare e una lunga in battere, che ossessionava il teppista Alex dell’”Arancia Meccanica” di Kubrick, quella del “Basta che funzioni”, fortunato movie di Woody Allen, ma anche la sigla delle trasmissioni di Radio Londra della BBC, durante la II° Guerra Mondiale; la stessa che, incisa in un disco d’oro, è messa a corredo della sonda spaziale Voyager per informare eventuali alieni della esistenza dell’uomo e del frutto del suo ingegno e talento.
Era stato lo stesso compositore a spiegare che la Quinta Sinfonia e il suo celebre inizio nasceva dalla volontà di indicare il destino che bussa alla porta, un destino che vorrebbe furiosamente “afferrare alla gola” ma al quale si rifiuta di arrendersi.
La Quinta Sinfonia cominciò a prendere forma fin dall’inizio del 1804 e fu completata soprattutto nel 1807, quattro anni di lavoro quando Beethoven viveva un periodo personale drammatico con la presa di coscienza della gravità della sordità che lo affliggeva, e di grave preoccupazione per la situazione dell’amata Vienna occupata dalle truppe napoleoniche (1805).