Parliamo con… il regista, attore, sceneggiatore e marzialista Alessandro Padovani – INTERVISTA ESCLUSIVA

Roma, 22 dicembre  2016 – Incontriamo Alessandro Padovani, romano, 25 anni, giovane emergente regista e attore, animato più che dalla voglia di successo, dal desiderio di trasmettere, con ciò che crea, valori e sentimenti umani.
 
Alessandro, so che tu hai la passione per la poesia.
Sì! Fin da piccolo ho sempre coltivato questa passione, tanto che ho quasi pronte due raccolte di poesie da dare in stampa. La poesia è stata la prima forma d’arte a cui mi sono avvicinato.
 
Con pochi aggettivi, come descrivi Alessandro.
Romantico, sensibile, passionale, deciso, volitivo, altruista e generoso.
 
Parliamo ora della passione di Alessandro per le arti marziali. Come e quando nasce?
Da piccolissimo! Avevo 7 anni. Sono sempre stato affascinato dal cinema d’azione di Hong Kong, dei “tre fratelli dragoni” Jackie Chan, Sammo Hung e Yuen Biao. Nel loro cinema tutto è reale.  Non esistono effetti speciali o altri trucchi caratteristici del cinema d’azione americano. Nel cinema di Jackie Chan, lo spettacolo assoluto sono le coreografie acrobatiche dei combattimenti dove spesso utilizza anche armi improvvisate (forchette, sedie, ventagli, scale e altro), unite a stunt al limite della ragione umana. Negli attori provinati non si cerca il fisico da culturista, ma la preparazione atletica. Il cinema di Chan presenta, inoltre, valori umani e sociali.
 
E come sei entrato nel mondo del cinema?
Terminata la scuola superiore, diplomato come geometra, ho deciso di frequentare l’Accademia di Cinema e Teatro di Roma, seguendo corsi di regia, recitazione e drammaturgia. Questo mi ha permesso di prendere parte, come comparsa, a serie web accademiche, lavorando, purtroppo, gratis.
 
Le arti marziali. Come entrano nella carriera cinematografica di Alessandro ?
In accademia, ho conosciuto maestri cinesi di Kung Fu. Qui, ho iniziato ad allenarmi in vari stili marziali shaolin, come quello della tigre, del serpente, della mantide e dell’ubriaco. Le mie conoscenze nel campo, mi hanno permesso, così, di interpretare ruoli da protagonista in due pellicole, intitolate “The Professionist” e “Guerra al Baby City Hotel”, quest’ultima ispirata al manga giapponese “City Hunter”. In Italia queste pellicole sono inedite, mentre in Cina e nel resto del continente asiatico, hanno avuto successo. Nel tempo, ho ricevuto diverse proposte importanti, ma ho preferito rifiutare.
 
Come mai non hai intrapreso l’attività cinematografica all’estero?
Quando tutto è successo, ero un ragazzo di 22 anni, non conoscevo la lingua; i miei usi e costumi erano diversi. Non era facile muoversi in un paese vasto e ricco di grandi tradizioni come la Cina. Inoltre, volevo terminare gli studi e perfezionare la mia preparazione. Ambisco ad affermarmi qui, in Italia!   
 
Fra i tuoi lavori, quale ti piace ricordare e per quale motivo?
“The Professionist”! In quel film ho curato tutto nel dettaglio. Sono stato sceneggiatore, regista, attore protagonista e stunt coordinator. Mi sono ispirato alla filosofia del grande cineasta di Hong Kong John Woo, dopo aver visto la sua pellicola “The Killers”. Il mio personaggio è un killer con un’anima. Un uomo, a disagio nelle relazioni interpersonali e concentrato soltanto sul suo sporco “lavoro”, almeno finché non incontra qualcuno che gli farà ricordare i motivi per cui vale la pena vivere, e lo aiuterà a salvare sua sorella dalle grinfie della mafia cinese, che lo manipolava.
 
Prossimi impegni?
Mi sto dedicando ad un progetto molto delicato. La pellicola affronta la storia di due fratelli orfani. Il maggiore è un poliziotto di 26 anni dell’anticrimine di Roma, considerato il migliore del suo distretto. Un ragazzo che ha sacrificato la sua gioventù e i suoi interessi, per accudire suo fratello, che nonostante i 20 anni, vive e agisce con il cervello di un bambino, soffrendo di gravi disturbi psichici intellettivi. Il suo fermo obiettivo è quello di ripulire le strade dove è cresciuto, dallo spaccio di droga e dalla criminalità organizzata. Con questo film, voglio raccontare tematiche attuali come la disabilità e il degrado nelle periferie romane. Voglio scuotere la coscienza e il cuore degli spettatori, indurli a riflettere seriamente sulla questione. Ora sto scrivendo altre due sceneggiature. Tanta la carne al fuoco!

Grazie, Alessandro. Fa immenso piacere sentire, in questi tempi, un giovane parlare di valori. Ti auguriamo che “la carne al fuoco” cuocia a puntino, da poterla gustare anche nei risvolti umani che, con la tua sensibilità, vuoi trasmettere. 

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