Teatro Argentina – Madame Pink di Alfredo Arias

(foto Giovanni Ambrosio)

Il cane rosa e le bollicine

Difficile classificare lo spettacolo  ospitato al Teatro Argentina, anche se il regista Alfredo Arias, raffinato creatore di musical straordinari come ‘Concha Bonita’ o del delizioso ‘Circo Equestre Sgueglia’ che riportava in vita l’opera di Raffaele Viviani, ha dato precise indicazioni atte a  costruire il giusto sistema d’attese nel pubblico.
In realtà, Madame Pink non segue un criterio ben definito e non bastano le locandine che  presentano lo spettacolo come una commedia con canzoni. Né bastano allo scopo le dichiarazioni dello stesso Arias, che ha scritto lo spettacolo assieme a René de Ceccatty, che non va considerato un musical o una commedia musicale, piuttosto un melodramma che affonda le radici nel noir americano tenendo d’occhio i patinati spettacoli di Broadway. In verità, in questa messinscena è davvero difficile cercare paternità, non c’è Broadway, certamente, troppo angusto questo comparato con gli allestimenti made in USA, né riferimenti al patrimonio della commedia musicale che parla italiano ormai con ricca tradizione, né di altre nazioni. Troppo poco, inoltre, il riferimento al pop con una scena fissa (un divano rosso dallo schienale mosso e due neon verdi a forma di alberello stilizzato), sia pur gradevole, firmata da Agostino Iacurci, giovane pittore, scultore e scenografo foggiano considerato un protagonista della street art mondiale, E non c’è il noir, reso confuso e indistinguibile da un clima surreale.
Arias lo sottolinea che nello spettacolo :“ non c’è niente da capire e se qualcuno capirà lo stesso qualcosa, vincerà un biglietto per il Sud America”. Infatti,  sono troppi i nessi realistici per assolvere al compito di un’opera surreale.
Perché, nella sia pur nebulosa linea narrativa, si vuole parlare di uomini che tradiscono le donne, omosessuali più o meno dichiarati, vamp sussiegose e insaziabili che transitano con la rapidità di un TAV da un letto all’altro, egoiste e superficiali. E di un cane, anzi una cagnetta, Roxie, una cagnetta rosa,  alterego sfrenata e disinibita di Madame Pink, con propensioni sadiche, che ama arpionare le parti basse degli amanti della sua padrona con i quali si diletta a far sesso secondo le proprie formule bestiali.
Lei dovrebbe rappresentare il mondo surreale degli animali parlanti, stimolato da Walt Disney con Dumbo e quasi tutta la popolazione di Topolinia, anzi dovrebbe rappresentarne l’inversione significativa: il cane con tendenze criminali e non più l’amico dell’uomo.
A cadere per primo nella sua rete è il marito dentista con il quale intesse una tresca che somiglia tanto ad un amorazzo  che provocherà la rottura del matrimonio. Niente paura, però, Roxie sa quello che vuole; lei vuole lusso sfrenato, gioielli e niente catene per carità, piuttosto preziose collane di brillanti per lei che detesta fare i bisognini fuori all’aperto.
In questo spettacolo tutto viene narrato, raccontato da un io narrante (formula ormai caduta in disuso) e quel che latita  maggiormente è  la vitalità dell’azione, anzi,   la stessa regia è quasi inesistente.
A salvare lo spettacolo non bastano dunque le quattordici canzoncine anche abbastanza orecchiabili, ispirate alla musica americana degli anni ’70 e ‘80 rivisitata da Mark Plati, storico collaboratore di David Bowie e di Prince, The Cure, Natalie Imbruglia. I testi, davvero fragili, quando non scialbi (‘Voglio essere una Barbie rosa’), sono di Arias e di Mauro Gioia.  Né bastano a renderlo appetibile i riferimenti e le mosse scurrili delle due femmine, l’insistenza sulle citazioni anatomiche del maschio di turno e su tecniche sessuali raccontate o mimate che non hanno più nulla di deflagrante.
Certo va riconosciuto però che gli interpreti in scena fanno di tutto per rendere le atmosfere che forse aveva voluto presentare Arias.
A cominciare da Gaia Aprea protagonista nelle vesti di Madame Pink, vestita preziosamente da Marco De Vincenzo, stilista siciliano di cui si sentirà ancora parlare, che ha già fatto i primi passi nel mondo dello spettacolo firmando i costumi di Beyoncé. Splendidi il magnifico pigiama a strisce bianco e nero di paillettes adornato da una cascata di collane di perle e quello tutto formato da una serie di volant nelle infinite sfumatura di rosa. Roxie, Flo (ovvero Floriana Cangiano), indossa per tutto lo spettacolo la maschera da cane firmata da Erhard Stiefel, scultore e scenografo franco-svizzero, storico collaboratore di Ariane Mnouchkine e Théâtre du Soleil, di Antoine Vitez e dello stesso Arias, per le maschere di scena degli spettacoli ‘Peines de coeur d’une chatte française’ nel 1999 e ‘La Belle et les Bêtes’ nel 2005. Sul palco anche Mauro Gioia (Goodman), Gianluca Musiu (Badman), Paolo Serra (Regularman; Dr. Tore; Inspector Shake). Tutti cantano dal vivo accompagnati da  Giuseppe Burgarella (alle tastiere), Ben Croze (alle chitarre), Marco Di Palo (al basso) e Salvatore Minale (alla batteria).
Intenerito da una captatio benevolentiae  di  Arias, che si presenta sul palcoscenico per spiegare che mancando l’aria condizionata sta ai presenti con gli applausi far circolare un po’ di corrente a rinfrescare gli attori, il pubblico applaude.
Lo stesso pubblico, la cui esiguità Arias attribuisce ad una battuta su Trump, che per verità passa inosservata, al quale rivolgendosi con il suo italiano dal forte accento argentino sente di dover chiarire: “Non sono papa Francesco travestito da regista”.

   

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