La Rassegna Pirandelliana 2016 a Sant’Alessio all’Aventino
Roma, 4 luglio – Fin dalla prima edizione ho la fortuna ed il piacere di seguire il bravissimo attore e regista Marcello Amici e la sua ottima compagnia teatrale, La Bottega delle Maschere, composta da Sara Berni, Giacomo Bottoni, Andrea Carpiceci, Lorenzo D’Agata, Mario De Amicis, Lucilla Di Pasquale, Alessandra Ferro, Valeria Iacampo, Salvatore Iermano, Valerio Ludovici, Katia Maglione, Giulia Paoletti, Anna Varlese, e Marco Vincenzetti.
Grazie alla brava addetta stampa Valeria Buffoni, sono in grado di presentare la Pirandelliana 2016, che è da sempre una delle rassegne teatrali più importanti e seguite durante l’Estate Romana.
Le prime due edizioni (1997, 1998) vennero rappresentate nel Teatro Romano di Ostia Antica.
La rassegna ha poi proseguito nel Giardino della Basilica di Sant’Alessio, uno degli spazi più intensi dell’Aventino, che si affaccia come un solenne balcone sulla Città. Un luogo antico, austero, silenzioso ed elegante.L’aria che si respira nel Teatro della Bottega non è raddensata, austera, severa, ma è ironica tragedia e commedia tragica. È teatro pirandelliano che nella XX Edizione affronta il problema della solitudine esistenziale che opprime e condiziona.
La Rassegna si svolge dal 7 luglio al 7 agosto, saranno rappresentate a sere alterne le seguenti opere del drammaturgo siciliano: Enrico IV (in scena il martedì, il giovedì, il sabato) e L’altro figlio – La giara (in scena il mercoledì, il venerdì, la domenica). ENRICO IV – Circa venti anni addietro, in tempo di carnevale, c’era stata una cavalcata in costume dove ognuno aveva rappresentato un personaggio storico con la sua dama accanto. Uno di loro, mascherato da Enrico IV di Germania, cadde da cavallo, batté la testa e rimase fisso, per vent’anni, nel suo personaggio. È l’antefatto. Ora egli vive – Enrico IV – in una villa solitaria dove, un giorno, si presentano quella che fu la sua dama accanto, il suo rivale in amore che fece springare il suo cavallo facendolo cadere e un medico alienista che con un trucco violento spera di guarirlo come un orologio che si sia arrestato a una certa ora e che si rimetta a segnare il tempo, dopo un così lungo arresto. Il mascherato, però, è guarito. Se ne era accorto un giorno guardandosi nello specchio, ma aveva preferito restare pazzo; come un vecchio attore, aveva voluto restare nei panni del suo personaggio per viverla con la più lucida coscienza la sua pazzia. Quando sul finale quello che fu il suo rivale in amore scopre che Enrico IV non è un pazzo e la tensione del racconto raggiunge il massimo della sua iridescente angoscia aprendosi ad un omicidio, la regia fulmineamente lo esclude con una fervida intuizione? L’ALTRO FIGLIO – Protagonista è una donna anziana e ridotta in miseria, Maragrazia, con due figliacci lontani da anni che non danno più notizie di loro. Ad ogni partenza degli emigranti da Fàrnia, la donna diventa l’interprete di un rituale grottesco, la stesura di una lettera da consegnare ai suoi figli, a Rosario di Santa Fè. Nel lamento della vecchia madre c’è dissonanza con la sua personalità forte e complessa; in giro, non c’è pietà per la sua desolazione. Nel paese vive un altro figlio che vorrebbe prendersi cura di lei, ma la donna non l’ha mai voluto considerare come suo. Quel figlio è il frutto di uno stupro subito da un brigante che le uccise il marito. La donna medeica sa che quest’altro figlio non voluto meriterebbe almeno lo stesso affetto che lei riserva agli ingrati figli lontani, ma dice che non appena lo vede diventa tutt’un fremito. È tal quale suo padre, finanche nella voce, dice Maragrazia, non sono io! È il sangue che si ribella! LA GIARA – Piena anche per gli olivi quell’annata, don Lolò aveva comprato un’altra giara bella panciuta e maestosa che un giorno misteriosamente viene trovata spaccata in due. Viene chiamato Ziʹ Dima, un conzalemmi che per fare il suo mestiere ha scoperto un mastice miracoloso. Don Lolò non sente ragioni, la sua giara dovrà essere ricucita anche con punti di ferro. A questo punto la regia inserisce un intermezzo. Ziʹ Dima inizia la riparazione, ma nell’accomodare la giara vi rimane goffamente intrappolato per non averne calcolato il collo stretto e, tantomeno, l’ingombro della sua gobba. L’unico modo per uscirne è quello di romperla; l’avvocato Scimè sentenzia che se ciò avvenisse, Ziʹ Dima dovrebbe poi pagare il valore attribuito alla giara riparata. Il conciabrocche rifiuta, si rintana di più nella giara come in un involucro difensivo, mentre Don Lolò si allontana infuriato. Nella notte scoppia un festino con balli e canti attorno alla giara da cui spunta beata solo la testa di Ziʹ Dima che fuma con la sua pipetta intartarita! Don Lolò che aveva cercato l’aiuto della legge per intrappolare Ziʹ Dima imbestialisce completamente, con uno spintone manda a rotolare giù per la costa la giara che va a spaccarsi contro un olivo. La vince Ziʹ Dima che riacquista la libertà e viene portato in trionfo nella notte di luna dagli abbacchiatori e dalle raccoglitrici in festa. Bene, è tutto, complimenti a Marcello Amici e a tutta la Compagnia, e buon divertimento a tutti gli spettatori di questa bella e imperdibile rassegna Pirandelliana.