Teatro Sistina. Processo a Pinocchio

La metamorfosi del burattino

Roma, 17 novembre – Un processo tutto da farsi sotto gli occhi dello spettatore e un personaggio che ormai traghetta liberamente lungo tutta la parabola della narrazione, manipolando l’ascoltatore e manipolandosi ad un tempo, a partire dalla nascita in veste di burattino intagliato nel legno di pino per consolare la vecchiaia solitaria di mastro Geppetto, in quella splendida fiaba di narrazione, così simile ad un romanzetto di formazione, che sono ‘Le avventure di Pinocchio’ di Carlo Lorenzini, detto Collodi, poi divenuto quasi un simbolo universale della libertà dell’infanzia, degli sforzi per crescere, per diventare adulti.

Da letteratura per l’infanzia con 240 traduzioni nel mondo, allo sceneggiato televisivo di Comencini, alla pellicola per il grande schermo con Benigni, al cartoon di Walt Disney, Pinocchio sembra avere nel DNA la carica giusta per la metamorfosi. Con una sola imprescindibile legge: conservare il sorriso, malgrado tutto e farlo sbocciare in chi si accosta alle sue avventure. E questo mentre sono in corso i festeggiamenti per i 125 anni dalla morte del suo padre storico, Collodi, appunto. Ora Pinocchio ha trovato persino una motivazione nuova e può salire sul palcoscenico del Sistina, lo spazio romano più accreditato per il teatro musicale, a riscuotere il suo meritato successo in questa lettura psicoanalitica, un noir in piena regola, con scene tagliate con incalzante maestria e un divertimento assicurato da ritmi frenetici di giovani artisti che cantano, ballano e recitano, facendo dell’ironia, della trama particolare un parterre fertile di intrecci inattesi e divertenti.

Lo spettacolo si apre su una scena che riserva ad un corpo morto l’occhio di bue. Su quella poltrona (ma sono tutte poltrone alla Fracchia, di vari colori, quelle che arredano il palcoscenico assieme a un pianoforte e a pochi strumenti musicali dal vivo), sta disteso il defunto Salvatore Grillo, psicoterapeuta di genio. Accanto a lui, Pino, con in mano un martello. L’arma del delitto? Basterebbe mettere insieme le due immagini per avere le risposte. Ma un accertamento più prossimo fa scoprire la realtà nella quale si muove Pino, fatta di una moglie ciarliera e sporcacciona, scurrile, un tipino bipolare, di un’amante, ninfomane insaziabile e cleptomane, di un occasionale compagno che lavora come figurinista per una nota griffe e lo trascina nei gorghi della sua dichiarata omosessualità per fargli scoprire “le mauvais chemin” nei posti più insoliti e di una madre tutto intenta a fagocitare il figlio, e alla disperata ricerca di un nipotino da viziare.

Tutto è già definito, allora? Neanche per idea. Perché, come nel più classico degli incubi, tutto invece ritorna, e Grillo Salvatore riprende il suo ruolo di indagatore della psiche, ritrovando vitalità nel condurre l’indagine sui processi di Pino, Pinocchio quando mente o altera la sua realtà. Pinocchio sempre, dunque. Con il quale si possono ripercorrere i gradini di questa scala che tende a diventare parossistica nel finale, quando tutti gli eventi sono rivissuti entrando e uscendo dallo specchio di Alice che conchiude la realtà al comando del protagonista, l’unico che può illuminare le sue psicosi e cercare negli anfratti le verità che possono dare senso ai fatti. E scandire con esse il tempo della favola, che è il tempo della rappresentazione, con quelle poltrone flosce e coloratissime, animate da un moto perpetuo nel finale.

Lo spettacolo si diverte per tutti i suoi 90 minuti ed è accolto con molta partecipazione dal pubblico più giovane, soprattutto.

Bravissimi e assai convinti gli interpreti coordinati da Andrea Palotto, autore e regista, che sulle musiche di Marco Spatuzzi suonate dal pianoforte di Federico Zylka aiutato dalla batteria di Tiziano Cofanelli e dal basso di Andrea Scordia, ha fatto muovere in scena, oltre all’eclettico protagonista Cristian Ruiz, Valentina Arena, Brian e Debora Boccuni, (quest’ultima anche autrice delle coreografie) e Elena Nieri.

Partecipazione straordinaria di  Luca Giacomelli Ferrarini.

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