Teatro Argentina, Gabriele Lavia ritorna a Pirandello con La trappola: dal 9 al 24 marzo al Teatro Argentina l’artista rinnova il suo incontro con il drammaturgo siciliano mettendo in scena un uomo ossessionato dalla morte in continuo conflitto tra l’inganno della forma e il tranello che è la vita. Dopo l’allestimento di Tutto per bene presentato lo scorso gennaio al Teatro Argentina, Gabriele Lavia torna al teatro di Luigi Pirandello con La trappola, testo del 1912 del quale oltre all’adattamento e alla regia è anche interprete nel ruolo del protagonista, accompagnato da Giovanna Guida e Riccardo Monitillo. La pièce arriva sul palcoscenico dell’Argentina dopo il grande successo riscosso nelle due anteprime di fine stagione 2012 dedicate al pubblico dei Teatri di Cintura, un dono speciale per ringraziare dell’attenzione e dell’affetto dimostrati nel corso del progetto triennale che ha visto impegnato il Teatro di Roma a gestire e programmare le stagioni teatrali di Tor Bella Monaca e Quarticciolo. L’incontro con Pirandello nella versione scenica di Gabriele Lavia, che ne propone una lettura rinnovata e interagita direttamente con il pubblico, si compone di altri testi dell’autore siciliano che si lasciano attraversare da rimandi dostoevskiani e da incursioni filosofiche con riferimenti a Schopenhauer e Nietzsche. Un testo lontano oltre un secolo che conserva ancora la sua profonda carica eversiva, rinnovandosi nell’eterno conflitto fra l’essere e l’apparire che soggioga al ricatto delle debolezze e delle fragilità umane. Tra cataste di armadi di varia stazza, librerie e scaffali carichi di volumi, tra sedie confuse e disordinate, un vecchio divano conquista la scena per diventare il perno della rappresentazione su cui Lavia rivela l’ossessione di un uomo tormentato dalla morte, in dissidio continuo tra l’inganno della forma e il tranello che è la vita. Disteso sul divano, l’uomo recita e denuncia le contraddizioni della condizione umana, la vecchiaia e il risentimento familiare, la misoginia e le convenzioni sociali, portando in palcoscenico il “buio, dove la verità si scopre più profonda”. Intrappolato nel buio del relativismo e nelle contraddizioni dell’esistenza umana, l’uomo è ostaggio della certezza che la vita non sia altro che una “gabbia” costruita attorno all’individuo, dentro la quale attendere soltanto la morte. La trappola è il discorso interiore di un uomo che confessa la propria ossessione di essere umano intrappolato dalle forme sociali, dalla famiglia, addirittura dall’obbligo della riproduzione. Per il nostro protagonista, infatti, le donne sono lo strumento che attira l’uomo spingendolo a riprodursi e generare così altri infelici, altre maschere del gran ballo della società. Anche lui naturalmente è vittima del tranello: una donna sposata, che non può avere figli da suo marito, lo seduce, gli strappa una gravidanza per poi abbandonarlo e tornare dal marito. Così rimane da solo con il vecchio padre malato e paralizzato, condannato a quella sorte dal padre, suo nonno, che lo generò 76 anni prima. Per il protagonista ogni genitore è il boia della creatura che genera e che dice di amare perché la condanna a morte. Due colpi di pistola libereranno dalla trappola l’uomo, ossessionato dalle donne, e il genitore ormai anziano e gravemente ammalato.
Teatro Belli: Oscillazioni : Al Belli, a Trastevere, in scena Giordano De Plano in Oscillazioni, di Vitaliano Trevisan, con la regia di Giuseppe Marini. Ho sempre pensato di essere quel tipo di uomo che una mattina si alza, fa colazione fa una bella doccia, si sbarba, si mette il vestito migliore, pulisce il fucile, scarica il fucile su moglie e figli e quindi si uccide, non senza prima aver fatto fuori anche il cane. Un ragazzo tra i quaranta e i cinquant’anni, in occasione del compleanno del figlio, traccia un bilancio a consuntivo della sua esperienza di marito e padre. “Entrambe le figure – dichiara l’autore Vitaliano Trevisan – hanno la cifra dell’assenza: egli era marito, ma non ha mai voluto essere padre”. Un figlio generato da un matrimonio che egli voleva sterile e dunque l’abbandono di un progetto di vita portato a compimento, ai suoi occhi, in modo fraudolento. Da qui l’ulteriore abbandono anche dell’idea che un rapporto uomo-donna possa essere ancora possibile, a meno che non si tratti di un onesto rapporto “mercenario”, come quelli da lui intrattenuti nel corso degli ultimi anni, dove, con un movimento del tutto al passo coi tempi, la quantità sostituisce la qualità. Ma qualcosa non funziona più: le figure dell’assenza restano in lui immagini forti. Lavorano, sono vive, presenti, minacciose, e la qualità della minaccia cresce con la crescita del figlio. Sullo sfondo, la città notturna si sovrappone a quella diurna, cambiandone totalmente la fisionomia. Le strade vengono rinominate a seconda della nazionalità delle puttane che vi lavorano, ordinando in uno stradario ideale quel bordello a cielo aperto in cui si trasformano, di notte, le città italiane. In questa occasione l’attore Giordano De Plano affronta per la prima volta un testo che lo vede in scena da solo, per un “assolo” denso e intenso di parole e di silenzi.
Al Teatro Manzoni in scena Patrizia Pellegrino, Enrico Guarneri, Vincenzo Volo e Rosario Marco Amato nella commedia Che notte quella notte, di Carlo Auteri, con la regia di Antonello Capodici: è l’ultimo dell’anno del 1936, nella sperduta (ed immaginaria) stazione siciliana di Montefranoso. Il capostazione Saverio, ormai ben oltre i limiti dell’età pensionabile, trascina le lunghe e solitarie notti del turno restaurando vecchi Pupi siciliani. Insieme a lui, il nipote Liborio : giovane ferroviere desideroso di compiacere il “regime” nella speranza di fare carriera. Regime rappresentato, nell’immaginario della commedia, da Fofò : specie di vitellone, più impegnato a cercare “femmine” che nella causa del fascismo. Fofò millanta da due mesi una fantastica avventura erotica con una soubrette romana : Saverio e Liborio non ci credono granché. Ma proprio la notte di capodanno la ragazza, incredibilmente, arriva a Montefranoso. Si chiama Caterina, fa la ballerina in modeste produzioni di Varietà e sopravvive, come può, alla disillusione della vita e del mestiere. Fofò, che bovinamente pensa sia venuta a cercarlo solo perché follemente innamorata, non vede l’ora di rimetterla sul primo treno in partenza e liberarsi, definitivamente, di lei. Solo che il “primo treno” è un “postale”, con fermata a richiesta che transita poco dopo mezzanotte. Saverio e Caterina iniziano così un’attesa carica di solidarietà e delicatezza. Un lungo flusso di confessione e svelamento, che li porta ben oltre la soglia della conoscenza casuale. Il seme di una specie di amicizia; un accenno bizzarro di innamoramento. E così il treno passa senza fermarsi, e Caterina non riparte. Fofò, che nel frattempo è andato in paese alla “festa” dei notabili, scoperta la mancata partenza, torna alla stazione : è l’epilogo dell’incomprensione. Persino della minaccia. Il pingue casanova di provincia si svela per ciò che è in realtà : un brutale ed ottuso fascistello, avido di privilegi e terrorizzato dall’idea dello scandalo. E’ l’epifania della violenza; Caterina svela finalmente il motivo vero di quella apparizione : è incinta di Fofò. Fofò, al culmine della rabbia, aggredisce Caterina : lo stupro qualificherebbe la donna per quello che tutti voglio che ella sia. Una che “se l’è andata a cercare”. Con un marchio simile, Fofò pensa si allontanerebbe la minaccia del figlio illegittimo. Al culmine della violenza, però, è Saverio a dire di no. Il mite, il sottomesso, il vecchio Saverio che ha il coraggio di imbracciare un’arma e dire “no”. Un “no” alla mostruosità della violenza ed alla sua cieca stupidità. Un “no” alle convenzioni, ai marchi, e persino alle divise. Un “no” alla morte. E’ la comparsa del Podestà del paese a sancire la soluzione della vicenda : come in una sorta di “deus ex machina”, egli garantirà la salvezza di Caterina e del bambino che nascerà. Entrambi andranno a vivere lontano, insieme a Saverio ed alla moglie, per crescere il figlio che questi non ha mai avuto.
Teatro dei Satiri : Una stranissima coppia : Una commedia molto divertente e coinvolgente scritta e diretta dal bravo Diego Ruiz : Una stranissima coppia, interpretato insieme alla brava e bella Milena Miconi) : cosa c’è di più romantico del primo incontro tra un uomo e una donna? Ci sono aspettative, speranze, cuori che battono all’impazzata e quell’ansia incontrollabile di fare bella figura a tutti i costi!Così almeno viene raccontato dai più famosi romanzi rosa o nelle commediole sceme con Julia Roberts, ma nella vita è veramente così? Se hai quindici anni e credi ancora nelle favole, forse sì!Se invece di anni ne hai quaranta, hai già un matrimonio alle spalle, qualche corno sulla testa che fa ancora tanto male, se sei già nella fase in cui quando ti guardi allo specchio vedi solo rughe con una faccia intorno e sai perfettamente che ognuna di quelle rughe porta il nome di quell’imbecille del tuo o della tua ex, altro che cuori che palpitano e mani che tremano! La parola d’ordine è vendetta! Diego Ruiz torna all’analisi del rapporto di coppia, rivolgendo il suo sguardo divertito a una categoria di persone molto diffusa al giorno d’oggi: i single forzati. Uomini e donne che si ritrovano, loro malgrado, improvvisamente soli, con la assoluta necessità di rifarsi una vita sentimentale, ma con l’inevitabile istinto di difendersi dalle frecce avvelenate di Cupido. Sono persone in cerca d’amore ma con il terrore di trovarlo, gente che vuole rimettersi in gioco ma non si ricorda più come giocare. Milena e Diego sono esattamente così! Doveva essere un appuntamento al buio, ma le scintille tra i due divamperanno subito in un fuoco di risate!
Teatro dei Servi : Padania Libre : Dopo il successo ottenuto la scorsa stagione in scena fino al 10 marzo al Teatro de’ Servi, “Padania Libre” una commedia di Marco Costa con Fabrizio Sabatucci, Roberto Stocchi, Antonella Alessandro, Andrea Planamente e Veruska Rossi. Ora che le celebrazioni dell’Unità d’Italia sono finite non è forse il caso di testare quanto gli italiani siano vicini gli uni agli altri, quanto si capiscano e tollerino reciprocamente? Per farlo Marco Costa si spinge alle punte estreme della Padania, una regione che non esiste, ma è quotidianamente al centro di una parte del dibattito politico e sociale. Nasce così una commedia surreale ambientata in una baita valtellinese invasa dalla nebbia dove la famiglia padana ultrasecessionista Casunziei si riunisce per trascorrere insieme il weekend dei morti in occasione del pensionamento del padre, burbero macellatore di animali da pelliccia. Quando Ginevra, l’emancipata figlia emigrata per lavoro a Roma, avvisa sua madre che tornerà accompagnata dal suo nuovo fidanzato, Pepi, un brillante comico romano, astro nascente della tv, la catastrofe è innescata. Padania Libre è un’irresistibile commedia caustica e surreale che esaspera la radicata discriminazione tra nord e sud facendoci ridere e riflettere sul nostro atavico pregiudizio nazionale. Si propone dunque di dissacrare senza scadere, di divertire e alleggerire lo spettatore con una storia attuale, personaggi grotteschi, e sentimenti iperrealistici, mescolando culture contrastanti, svelandone miserie e splendori, al fine di abbattere la Bastiglia dei pregiudizi regionali che ancora impastano il nostro pensiero, instillando nel pubblico un chiaro messaggio di tolleranza, perché troppo spesso non vediamo le cose come sono, ma come siamo.