Rassegna teatrale nella Capitale

Nel pieno della stagione teatrale la rassegna degli spettacoli in scena nei teatri Quirino, Piccolo Eliseo, Servi, Ambra Jovinelli e Olimpico.

Teatro Quirino: “La Locandiera Nancy”: una versione del tutto nuovo e moderna de “La Locandiera”, di Carlo Goldoni con i bravissimi  Fabio Bussotti,  Giuseppe Marini,  Maximilian Nisi, Fabio Fusco  e Andrea Paolotti con le scene di Alessandro Chiti, i costumi di Nicoletta Ercole, e l’adattamento e la  regia di Giuseppe Marini, che così si esprime su questo suo nuovo impegno artistico e registico: “spietata, modernissima e proto-strindberghiana lotta tra i sessi, La Locandiera, oltre a sancire il mio esordio registico nel pianeta Goldoni, non ha mancato di esercitare nel tempo, un lungo tempo, proprio come la sua protagonista, una certa misteriosa malia incantatrice. Mistero che apre oggi delle possibili fessure di comprensione e interpretazione in quella sorta di trattato, lucido e precisissimo, sull’egotismo o, meglio ancora, sul narcisismo che da sempre sembra trovare nella sfera amorosa il suo terreno di applicazione privilegiato. Nel deserto dei sentimenti, fra le macerie del desiderio, sempre più confuso e confusamente recalcitrante al suo soccombere, l’Eros riemerge nell’accezione più odiosa, quantunque comica e divertente nel caso del capolavoro goldoniano, quella che reca il marchio della supremazia e della rivalsa. Nel perverso, quanto sterile, gioco di relazioni pericolose, l’Amore è sostituito dalle sue recite e la finzione si serve dell’Amore stesso come strumento e mai come autentica componente affettiva, fino al punto che il desiderio (maschile) faticosamente ritrovato, viene deriso e sbeffeggiato prima di morire, sacrificato sull’altare di un narcisismo (femminile) che tra calcolo, opportunismo, rivalsa, anche interclassista procede, costi quel che costi, senz’altro oggetto se non il proprio trionfo”.

Piccolo Eliseo Patroni Griffi, Roberto Herlitzka ne “Il Soccombente”, ovvero il mistero Glenn Gould di Thomas Bernhard, con Marina Sorrenti, e la regia di Nadia Baldi . Roberto Herlitzka, vincitore quest’anno del Nastro d’argento alla carriera e del David di Donatello come migliore attore protagonista,  in scena dal 12 novembre all’8 dicembre al Piccolo Eliseo Patroni Griffi. Acclamato dal pubblico e critica per le recenti prove d’attore ne La Grande Bellezza di Sorrentino, La Bella Addormentata di Bellocchio e Il Rosso e il Blu di Piccioni, Herlitzka debutta ne Il Soccombente capolavoro di T. Bernhard per la prima volta sui palcoscenici italiani. Nadia Baldi firma una nuova regia di uno dei capolavori della letteratura mondiale del Novecento. La versione teatrale è curata da Ruggero Cappuccio per l’interpretazione di Roberto Herlitzka e Marina Sorrenti. Il flusso vulcanico del romanzo di Bernhard esplode in tutta la sua lancinante bellezza, illuminando i temi cari all’autore e all’Arte del Novecento con una lucidità di scrittura assoluta e chirurgica. Il genio, il suo fatale isolamento, l’amicizia, l’amore, l’inquietudine come farmaco e veleno per  sopravvivere alle crudeltà dell’esistenza umana, si sprigionano dalle parole di Bernhard attraverso il racconto di una vicenda esemplare. Due giovani amici, Wertheimer e l’io narrante dietro il quale si cela il desiderio di proiezione dello stesso scrittore, raggiungono Salisburgo per frequentare un corso di perfezionamento pianistico tenuto da Horowitz. Nella città di Mozart, che li adesca e deprime, i due giovani incontrano e si legano ad un ragazzo singolare che si chiama Glenn Gould. Quando Wertheimer e l’Io narrante sentono suonare Gould, vengono travolti dalla piena di un trauma interiore che non concederà loro un solo attimo di pace per il resto della vita. I due virtuosi del pianoforte comprendono con chiarezza abbagliante che il loro amico canadese è un genio, peggio, una prova indiscutibile dell’esistenza di Dio. Il futuro dell’Io narrante e di Wertheimer è compromesso per sempre. Entrambi abbandonano gli studi pianistici ed entrambi subiscono il ricatto quotidiano della insostituibile bellezza della musica. Gli assalti della frustrazione, dell’ossessione, di una tagliente dimensione fobica che li magnetizza verso il pianoforte e da esso li allontana, creano un monumento dell’ambivalenza sentimentale che si concretizza come summa perfetta dei modernissimi crocevia psicoanalitici. L’indubitabile amore che Wertheimer e l’Io narrante nutrono per Glenn Gould, l’ammirazione per la suprema profondità con la quale egli ricrea le variazioni Goldberg di Bach, vanno di pari passo con la consapevolezza che il Dio del suono è entrato nella loro vita minacciando di distruggerlo.  La regia di Nadia Baldi dà vita ad un set della memoria e del ritorno represso, facendo dell’Io narrante-Herlitzka il baricentro di un passato attivo che torna a reclamare i suoi diritti. La regia introduce ad “assecondarlo” una figura femminile inesistente nel romanzo, di cui non v’è certezza di identità, figura motore interpretata da Marina Sorrenti. In un luogo adimensionale, l’Io Bernhard sopravvissuto alla fine di Gould e al suicidio di Wertheimer, compie un’impietosa anatomia delle anime, lottando contro le parole, contro il fantasma della mediocrità, contro la morte e la vita, con una passione e un calore scientifici, crudi e tragicomici. La messinscena, con le ambientazioni videografiche di Davide Scognamiglio e le musiche di Marco Betta, invita il pubblico ad entrare nella più profonda seduta analitica che la letteratura abbia prodotto nell’ultimo secolo. Il successo, il fallimento, le speranze, le disillusioni, l’amore per chi si odia e l’odio per chi si ama, le creature di un passato che non passa, attraverso il corpo di Berhard –Herlitzka con stupefacente vivezza, allineandosi al genio di Bach, come la ricerca delle variazioni infinite sull’essere e sul vivere.

Teatro dei Servi, “Morti dal ridere”: prosegue il successo della stagione del Teatro dei Servi che presenta, fino al 24 novembre, la compagnia Ultracomici con  la commedia intitolata Morti dal ridere, di Sergio Viglianese e Gloria Vigorita, in collaborazione con Alessandro Mancini, con la interpretazione degli stessi Viglianese e Vigorita,  per la regia del bravo Pascal La Delfa. Un cimitero di una grande città fa da sfondo a una storia d’amore più che mai insolita. Una vedova, un uomo che si innamora e un terribile sospetto in una storia divertente e romantica, che ammicca al giallo. In più, condensati nelle stravaganti incursioni di diversi personaggi che frequentano il cimitero, tutti i modi di interpretare l’ineluttabile fine, dalla scaramanzia alla religione, dalla paura alla dissacrazione. Una commedia divertente e allo stesso tempo poetica sulla nera signora, sul trapasso, sulla dipartita,  insomma, sulla morte! Uno spettacolo che lascia spazio a momenti di riflessione, ma che soprattutto fa  morir dal ridere! Riccardo, un uomo ossessionato dalla paura di morire dopo averle provate tutte, da alcuni anni è costretto ad andare ogni mattina al cimitero, poiché questo è l’unico metodo che gli permette di dormire la notte. Negli ultimi due mesi, ogni giorno proprio al Verano  vede una donna avvolta da un misterioso fascino, ma non ha il  coraggio di parlarle, finché un giorno è proprio lei a rivolgere a Riccardo alcune domande. Lui, innamorato a prima vista, inventa una serie di bugie per nascondere il vero motivo per il quale si reca lì e con il passare dei giorni mantenerle in piedi diventa sempre più difficile. Altre storie parallele si aggiungono a quella di Riccardo e la donna misteriosa, un fratello e sorella del sud che vanno a trovare il nonno, un killer sentimentale che va a trovare le sue vittime ed altri ancora fanno da contorno a questa bizzarra storia d’amore che si tinge di giallo. Il mistero diventa si fa sempre più fitto e serio: perché da due mesi questa donna ogni giorno si reca al cimitero? Chi va a trovare? Riccardo è combattuto tra l’amore e la paura, ma mai sospetterebbe ciò che alla fine scoprirà…

Ambra Jovinelli,  Beniamino/Fantastichini, in scena all’Ambra Jovinelli il monologo Beniamino di Steve Spears, per la regia di Giancarlo Sepe e con la grande interpretazione dell’ottimo Ennio Fantastichini. Si tratta di un grande successo internazionale che parte come una sorta di farsa scatenata intorno ad un professore di eloquenza shakespeariana che si scopre innamorato del suo tredicenne allievo balbuziente. Il professore nasconde i suoi sentimenti, confidandosi soltanto con un vecchio amico omosessuale, ma in solitudine si traveste e balla ascoltando i Rolling Stones, lasciandosi andare al desiderio di vivere appieno la sua difficile condizione. Perseguitato dalla piccola comunità in cui vive, che lo incolpa della scandalosa relazione con il minorenne, il professore va incontro a un drammatico epilogo in una casa di cura per malattie mentali. Questo monologo dello scrittore australiano Steve J.Spears contiene tematiche affrontate negli ultimi tempi da film di grande successo come Il discorso del Re, ovvero Giorgio d’Inghilterra, padre della regina Elisabetta II, afflitto da una balbuzie che non gli permetteva di affrontare capi di stato o il popolo stesso per paura di non riuscire a dire neanche una parola. Nella narrazione della storia, i colpi di scena si succedono a ripetizione, e il testo risulta straordinario per capacità inventiva e descrittiva, alternando momenti di grande comicità a momenti dove il dramma non lascia respirare il povero protagonista, assediato da una società che lo respinge con disprezzo.

Teatro Olimpico: “Ammazza che robba”, in scena al  Teatro Olimpico di Roma l’eclettico ed incontenibile attore e comico romano Alessandro di Carlo con l’esilarante spettacolo Ammazza che robba!, irriverente contenitore di attualità, satira e opinione. Il rocambolesco Alessandro trascina, travolge, abbraccia, provoca, emoziona, e perché no, spiazza i propri spettatori, tuffandosi a capofitto in quel gran mistero umano che è il divertimento, pronto a sorprendere ed entusiasmare il pubblico in televisione così come a teatro. Uno serata spassosa con un grande clown dei nostri giorni, per lasciarsi andare alla gioia di una risata liberatoria. Ancora una volta Di Carlo spazia dal sociale alla politica, dall’istruzione giovanile all’idea di patria, dallo sport alla massificazione dei programmi televisivi attraverso il racconto delle proprie esperienze personali, familiari e artistiche trascinando, coinvolgendo, entusiasmando e abbracciando il pubblico in una condivisione di momenti generazionali. Un libero pensatore giunto a maturazione dopo anni di esperienze artistiche che ci domanda dove siano finiti quegli ideali e quei valori che hanno fatto del nostro un Grande Paese e del nostro popolo un Grande Popolo: in quali vene scorre oggi il DNA di quei pensatori, di quei grandi geni che furono Leonardo, Michelangelo, Dante, Machiavelli, che furono Cavour, Augusto, Meucci?

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