Roma, 20 aprile – Verità assiomatica: il pubblico pagante a teatro ha il diritto di battere le mani, ridere, omaggiare con mazzi di fiori, piangere, fischiare, tutto secondo il proprio insindacabile giudizio e, in tempi remoti, persino effettuare lanci di prodotti ortofrutticoli verso il palcoscenico. Il pubblico pagante è un padrone assoluto e un Moloc di inesausta voracità, impossibile arginare le sue reazioni. Vi sono vari tipi di spettacoli tendenti al rosa, colore di solito adatto alle commedie, con sfumature che vanno dal cipria al fucsia. A volte la risata è piena, grassa, totale perché si tende a sollecitare la parte più sanguigna e materiale, quella con sussulti di ventre per le battute che in quella zona si direzionano, altre si cerca di offrire un divertimento più sublimato che si rivolga alle sfere più eteree e attivi i chakra più alti, dove risiedono le idee figlie del cervello. Ma per tornare sulla terra, ecco che se il tempo non fosse quel grande stratega della memoria, se non accompagnasse amorevolmente l’arte del dimenticare fino a velare ogni ricordo e poi a cancellarlo, certamente la commedia “Lei è ricca, la sposo e l’ammazzo”, interpretata al Teatro Quirino dalla coppia Jannuzzo-Caprioglio, e ispirata più o meno liberamente alla deliziosa sophisticated comedy giallo-rosa di Elaine May, sviluppato da un racconto di Jack Richtie, portatasullo schermo dalla stessa e da un incommensurabile Walter Matthau con nutritissimo cast di caratteristi strepitosi, avrebbe avuto ben differente esito.
Il film uscì nel 1971. Quarantacinque anni fa. Molti spettatori, dunque, oggi non hanno un metro di confronto. Ed è a loro che si deve il successo di questo spettacolo. vi sono alcune considerazioni da fare: era inevitabile che un attore brillante come Jannuzzo, bravissimo a sostenere con i suoi regionalismi un modo di suscitare sorrisi, diventato nel corso degli anni sempre più simile a se stesso, al personaggio che si era cucito addosso dagli esordi, finisse per assumere un ruolo da mattatore. Qui, mettendo da parte quell’humour all’inglese che sembra così congeniale agli attori siciliani (Pino Caruso in testa) ha giocato su una comicità di pancia, poggiata su vecchie gag, battute scontate e insipide, un fastidioso inseguimento costante dell’applauso. Orazio, il suo personaggio, deve giocare su varie corde, su quella del cinismo, innanzitutto che lo spinge al matrimonio per poi disfarsi della moglie, ma gli scopi dichiarati di mettere le grinfie sul patrimonio della consorte sono maldestramente espressi. In più il regista, Patrick Rossi Gastaldi sembra indeciso su una linea da seguire, utilizzando stilemi comici che si apparentano a contesti diversi. In certi passaggi, ad esempio, sembra di assistere ad un commedia di Labiche. Né miglior esito è quello del resto della compagnia. Nel cast a salvarsi è solo nell’ingrato ruolo della maldestra e impacciata Albertina, la dolce Debora Caprioglio, che a momenti tuttavia non sa sottrarsi al carisma prevaricante del partner, anche se in altri disegna il personaggio con tempi tecnici perfetti, sfuggendo con soave arguzia ai superdatati siparietti che dovrebbero movimentare l’azione scenica o essere divertenti ma si limitano a sgranare ancor più il tessuto narrativo e drammaturgico.
In questa commedia gialla si parla di tale Orazio Pignatelli, ex-ricco e dunque ex-viveur, che ha scialacquato ogni bene, che vive in un appartamento che ha conosciuto altri fasti, accudito da Nunziatina, Antonella Piccolo, una cameriera, governante, trasformista che diventa persino una caliente e guapa spagnola per favorire la benevolenza di Lucky Buonanno, uno strozzino mafioso da cartolina illustrata (Cosimo Coltraro), che ama ascoltare melodrammi, nutrire il culto del padre artista ergastolano che ha saputo creare un veliero con fiammiferi spenti, che si commuove alle lacrime per la sua dolce terra di cui rievoca ogni stereotipo turistico. La somma dovrà essere restituita entro un mese con interessi usurai. Bisogna trovare una soluzione, il matrimonio con una ricca ereditiera potrebbe essere quella giusta. Orazio chiede all’amica snob Floriana ( Claudia Bazzano caricaturale) di presentargli una candidata. Ed ecco Albertina, entomologa naturalista e ricchissima, che vive in un palazzone tutta sola se non per la presenza invadenti e costante di un avvocato lestofante Enrico, Antonio Fufaro, che cerca di arginare il bisogno della ragazza e soprattutto del suo ingente patrimonio di sfuggire al suo controllo. Albertina, tuttavia, riesce a realizzare il suo desiderio, a sposare Orazio, a smorzare i suoi intenti omicidi e a suscitare in lui quel senso di protezione che la farà sbocciare finalmente nella vita. Insomma, Albertina ha imparato a lisciare le penne del pavone, trovando la linea del cuore di un uomo che spesso passa attraverso la vanità, il bisogno di sentirsi utili, anzi indispensabili.