Roma, 11 luglio – I “Frammenti” continuano a scorrere sul palcoscenico della Sala Casella, con i loro morceau di musica di vari contesti e con un ascolto aperto alla curiosità di molto pubblico per la proposta insolita. Infatti ogni programma mette in comunicazione diretta due ambiti culturali ben diversi e, alla fine, si creano strane parentele e alchimie. Perché cosa unisce Zé Galίa di Porto Alegre e la sua samba colta, sondata proprio mentre la rivoluzione brasiliana immetteva nella musica popolare, amata anche dalla borghesia, quanto appreso dalle contaminazioni con il Jazz e si orientava ad accendere un faro luminoso sulla parola che si caricava di significato, con i contesti maghrebini e arabo classici, con le memorie dei mozarabes, dei sevillanos dei primi decenni del millennio, con l’ingresso degli arabi e le loro corti illuminate fino a quel tragico 1492, quando Los Reyes, Isabella di Castilla e Fernando De Aragón, giunsero a riprendersi i territori? E ancora come seguire le rotte dei cantori, degli artisti, dei gitanos, figli del vento, che valicano ogni frontiera e superano l’Impero turco e i suoi divieti e si espandono come una coltre sui cugini che vivono nei Balcani e si imbevono dei suoni dei canon , dei tamburi e tamburelli, dell’infinità dei tipi di chitarra, e fanno vibrare le dure corde del liuto, con gli occhi ancora pieni delle danze tzigane? Oggi queste due realtà musicali si sono ritrovate a Roma per una competizione senza vincitori e per aprire quel piccolo spicchio di realtà dal quale penetrare per conoscere, condividere e forse amare.
“Non solo Bossa nova”, proclama Zé Galίa e, mentre spolvera la sua abilità di musicologo, la sua competenza che ti fa vivere nel tempo, l’avventura di chi tocca la chitarra ignorando la primazia del pollice, di artisti come Jobim che raccontano con quella voce impastata di zucchero e saudade di essere “Desafinado” (stonato) o si lanciano nella “Samba de uma nota só”, che non è più samba ma bossa nova, appunto.
Il viaggio, però parte da lontano, da quel Brasile turistico e esotico che si condensava negli estrosi copricapo di Carmen Miranda, la sua frutta destinata a non marcire, e se ne andava per le rotte dei musical USA titillando curiosità e voglia di ballo e di amor. Perché il Brasile era certo quello di Ary Barroso “Aquarela do Brasil”, della mitica “Copacabana” di João de Barro e Alberto Ribeiro. Poi, la deflagrazione: gli artisti che avevano scoperto la parola che racconta si riuniscono attorno a Vinicius De Moraes, sta per nascere “Orfeu Negro”, musical dapprima, poi poesia pura nelle immagini della grande favela, del bellissimo Orfeo che con il suo canto sveglia ogni mattina il sole e delle ammalianti “Manha de carnaval” (Luz Bonfã e Antonio Marial) e di”A felicidade” (Tom Jobim e Vinicius) che il Festival di Cannes premia con il palmarès e lancia nell’Europa intera. Non bisogna cercare gli assoluti dimostra la bossa nova, basta un “Barquinho” o un “Berimbao” ( strumento fatto con una zucca di due sole note). Ma anche le pennellate di un primo temporale, autentico quadro di impressionismo musicale, raccontano questo mondo fascinoso in “Águas de Março” di Jobim, un mondo dalla finestra.
Sono gli artisti di Romarabeat a proporre lo spettacolo “Il Maghreb incontra i Balcani”, i ritmi forsennati dei film di Kusturica, la follia in atmosfera popolare, incontro di culture che parla anche yddish e diventa ballo. In scena la voce di Houcine Ataa che crea melismi. Poi è il Coro Taschler Voices che canta anche arabo e l’insieme di musicisti che fanno parte anche dell’Orchestra di Piazza Vittorio, Ziad Trabelsi all’oud, Paolo Rocca al clarinetto, Mitica Namol, fisarmonica, Florin Preda, cymbalom, Primiano Di Biase alle tastiere, Petrica Namol, contrabbasso e Khaled Ben Salah, percussioni.