Roma, 12 agosto 2020. Avevamo già accennato, nel ricordo di Un uomo chiamato cavallo dello scorso maggio, a quello che successe nella cinematografia statunitense nell’anno 1970 nel passaggio dal western classico al western raccontato dal punto di vista dei nativi americani: gli indiani.
Soldato blu, del regista Ralph Nelson, esce negli States cinquant’anni fa oggi, in Italia dal 25 settembre dello stesso anno, ed è un bel pugno nello stomaco perché eravamo abituati allo stereotipo del cow-boy bravo, bello e simpatico contro l’indiano rozzo, cattivo e spietato.
Il 1970 è un anno spartiacque da questo punto di vista con le produzioni sopra citate a cui dobbiamo aggiungere Il piccolo grande uomo con Dustin Hoffman. C’è però una differenza sostanziale e cioè che nell’ Un uomo chiamato cavallo si raccontano gli usi, i costumi, degli indiani agli albori del 1800 con la partecipazione occasionale, che poi diventerà significativa, dell’uomo bianco (Richard Harris), mentre nelle altre due pellicole viene inaugurata una diversa letteratura sensibile alle vicende degli sconfitti, i pellirossa, dove viene denunciata la prepotenza fisica e morale nei loro confronti.
Soldato blu interpreta i sentimenti e le istanze della nazione indiana, che mai aveva avuto la possibilità di raccontare il rapporto tra colonizzatori a stelle e strisce e colonizzati indigeni. Lo spunto del regista Nelson e degli sceneggiatori è il massacro di Sand Creek del 1864 perpetrato da circa settecento cavalleggeri dell’esercito americano contro un villaggio di Cheyenne di cinquecento anime, tra cui molte donne e bambini.
La protagonista è Candice Bergen, altra novità una figura femminile nel panorama dei film western classici, nei panni di Kathy che entra in contatto con la cultura indiana, avendo sposato <<lupo pezzato>> capo Cheyenne, e difende la loro causa in contrapposizione con Peter Strauss, nella parte di Honus, il timido soldato blu che la deve scortare verso un accampamento militare.
I due sono gli unici sopravvissuti di una colonia militare attaccata dai Cheyenne e Kathy, pur di fronte al massacro di una ventina di soldati di scorta, sostiene, nei confronti del soldato, con vigore, le ragioni dei nativi americani, dei più deboli, nel difendere i loro territori. Il fascino e la personalità della Bergen danno al personaggio di Kathy uno spessore forte, una donna coraggiosa che non ha paura del confronto col fin troppo etico Soldato blu. Innovativa, per i tempi, anche una discreta carica erotica esercitata da Kathy che durante l’avventuroso viaggio verso Fort Reunion porta ad un progressivo avvicinamento il soldato verso le sue idee. Honus tenterà con tutte le forze di far desistere il comandante del forte ad evitare un massacro nei confronti del pacifico villaggio Cheyenne. Il regista Nelson mette in scena una brutalità che può sembrare gratuita, con corpi martoriati, donne stuprate, bambini uccisi senza pietà, volendo rappresentare quello che era stato fatto agli indiani, che di fronte ai graduati sventolavano la bandiera a stelle e strisce e la bandiera bianca. La società americana ne fu colpita e sensibilizzata tenendo presente che era in pieno svolgimento la guerra del Vietnam, già oggetto di discussioni e prese di coscienza in chi sognava la libertà e la pace.
Nel prosieguo degli anni settanta la produzione del genere western cala sensibilmente ma il diverso modo di raccontare i fatti, di varie epoche della nazione indiana, ha poi portato negli anni novanta ad una ripresa del tema e a partorire eccellenti opere come Balla coi Lupi, L’ultimo dei Mohicani e Geronimo.