Forse non fa parte della cultura teatrale di spettatori venuti ad assistere ad uno spettacolo di puro divertimento, come sono in genere quelli proposti in questo open space teatrale di gran successo che è il Teatro Golden, ma trovarsi improvvisamente di fronte ad una realtà che molti hanno vissuto e indagarla con gli occhi attenti di due autori come Vincenzo Sinopoli e Andrea Maia, che non vogliono esprimere giudizi storici o politici di merito, lasciandone al pubblico l’incombenza, apre uno spiraglio sulla memoria e conquista l’attenzione del pubblico proprio in virtù della interpretazione che offre di due personalità e di uno dei periodi della nostra storia recente, che sembrava lievitare sui cieli alti della giustizia e che, come molte storie italiote, partito in quarta è scivolato poi nel consueto nulla di fatto.
Ma ora che il tempo ha triturato l’orgoglio, le ambizioni, le stesse scelte di vita e di campo, le arroganze reciproche, che il volto di uno dei protagonisti è su una lapide di un cimitero, l’altro pronto ad occupare il suo posto nel dimenticatoio, assistere ad un lavoro come “Tangentoli” , di scena al Teatro Golden, appunto, può essere una esperienza interessante e formativa.
Due attori rivestono i due lottatori sul ring: Sebastiano Somma è Antonio Di Pietro, Augusto Zucchi indossa Bettino Craxi. L’argomento è il come eravamo di 25 anni fa, quando il Tribunale di Milano nella persona del suo pubblico ministero, Di Pietro, immerse le mani in quel guazzabuglio di affari, finanza, politica, corruzione e malversazioni.
Qui si immagina un loro ipotetico incontro e scontro, con Craxi già malato e lontano dall’Italia, nell’esilio pur dorato di Hammamet che torna per un ipotetico incontro con l’uomo di legge impegnato nelle ultime fasi di un processo a suo carico.
Ogni azione passata, ogni minimo cambiamento nel registro emozionale, verbale o semplicemente espressivo determina l’interpretazione degli eventi. Così, alla fine, non c’è né un vincitore né un vinto, ma le dinamiche della politica e le catena ineludibili che la legano al mondo del denaro e del potere economico, non possono del tutto blindare l’umanità che traspare dai due antagonisti, innalzandoli mitologicamente nel cielo degli eroi, non importa se tarati negativamente o positivamente.
Di Pietro non è solo il tenace oppositore della Milano da bere, Craxi non è solo il politico che aveva saputo costruire una valenza internazionale non soltanto per il proprio ruolo ma per tutta la Nazione.
La materia trattata inserisce la commedia nel novero di altri importanti lavori di teatro civile che indagano i fatti storici più recenti e, per certi versi, ricorda il duello Frost/Nixon, pièce di Peter Morgan che rievoca l’ intervista concessa dall’ex presidente degli Stati Uniti, colpito da empeachment in seguito allo scandalo Watergate, e costretto a forzate dimissioni.
Qui, al Golden, Craxi nel finale di partita arriva a Milano, inatteso, e si confronta nella convenzione teatrale con un avversario temibile al quale somiglia per ambizione, volontà di determinarsi, ma anche per momenti di scoraggiamento e voglia sempre più impellente di lasciare il campo, sentimenti che li portano congiuntamente ad uno stato di difficoltà a proseguire i rispettivi impegni, che li spinge avanti fino al punto di riconoscersi pedine di un gioco che li sovrasta dove la discussione pubblica si converte in confronto privato.
Allora, Benedetto «Bettino» Craxi, portavoce degli autori della commedia, impagina tutte le angolature del confronto dove Craxi non è più il leader carismatico del partito al governo, ma un uomo ammalato e stanco, fiaccato dalla cardiopatia e dal diabete, amareggiato dalla consapevolezza di essere stato scelto come capro espiatorio da un sistema che aveva contribuito a creare.
Dall’altro, svetta un giudice vinto dall’inanità della giustizia, che già vagheggia di scendere in campo in politica, mentre si interroga sui sentieri per i quali si muove la magistratura. Tanta storia si precisa e viene richiamata alla memoria, ad es. il rapporto tra PSI e il Partito Comunista; la “rottamazione” dei vecchi dirigenti; la dilagante ipocrisia che ammanta come un sudario la vita politica; il concetto di finanziamento illecito, erogato spontaneamente e non frutto di ricatto; la maxi-tangente Enimont; il “conto protezione”. E ancora le vicende in cui il partito intreccia il proprio destino a uomini come Mario Chiesa, da cui tutto è partito quel lontano 17 febbraio del 1992, Roberto Calvi, Sergio Cusani, Vincenzo Balzamo, Silvano Larini.
La recitazione vede schierati nei ruoli principali due ottimi attori: Sebastiano Somma presta la sua fisicità al magistrato dandone una valida interpretazione aiutato anche da vaghe ombreggiature meridionali che connotano il suo parlare e Augusto Zucchi molto aderente alla difficile e controversa figura politica, storica ed umana di Bettino Craxi.
Sul palcoscenico anche tre altri validi attori: Morgana Forcella (l’avvocato Belli che difende il politico), Roberto Negri (il Giudice) e Danilo Ramon Giannini (lo scrittore americano Jeff Bishop, deus ex machina che assiste ai fatti come ad una lezione della storia).