Roma, 26 gennaio 2020 – Ritorna un scena al Teatro Argentina con Maria Paiato, Massimo Popolizio che è protagonista. e regista di questo “Un nemico del popolo”, grande dramma borghese ottocentesco di Henrik Ibsen, uno dei capisaldi della drammaturgia mondiale, che accende un faro sul ruolo del potere, sulla corruzione che inquina la democrazia, sui rischi nei quali cade come in tranelli ben occultati il popolo e, per il cinico raffronto fra salute fisica e salute economica, porta avanti tematiche di stringente attualità. L’allestimento è stato celebrato con un doppio premio UBU, come miglior spettacolo 2019 e come migliore attrice protagonista. a Maria Paiato.
In una cittadina di provincia la cui economia ruota attorno allo stabilimento termale, il direttore sanitario dr Thomas Stockmann, scopre in seguito ad esami batteriologici, che le acque sono inquinate dagli scarichi della vicina conceria, dunque pericolose. Immediatamente, si appresta ad informarne il quotidiano locale, la “La Voce del Popolo”, al quale collabora, perché diffonda rapidamente l’informazione a tutela della salute pubblica. Prepara inoltre un report per le autorità cittadine, capeggiate dal fratello Peter, da molti anni Sindaco, con le risultanze delle analisi e con l’auspicio che lo Stabilimento venga chiuso al più presto.
Subito si muove una vera e propria macchina bellica che vede al comando il Sindaco preoccupato dagli effetti drammatici di una chiusura della Terme, anzi dall’autentico disastro per la cittadina, dal rischio crack per gli investitori, dalle conseguenze sul mercato immobiliare in grandissimo sviluppo per la necessità di accogliere turisti termali, con relative perdite cospicue di posti di lavoro, per i danni all’indotto con esiti devastanti e, non ultimo, per l’entità insostenibile per la cittadinanza di eventuali opere di risanamento delle falde acquifere.
Acclamato dapprima come difensore della salute pubblica, di fronte agli argomenti gettati sul tappeto dalle lobby degli immobiliaristi, alle pressioni del Sindaco sulla stampa, man mano cambia il clima e tutti gli si scagliano contro. Si arriva così ad una sorta di pubblico processo in cui le due parti, il dottore, sostenuto dalla figlia che per colpa sua rischia perderà il proprio posto di lavoro e dalla moglie che lo invita a considerare con cautela ogni mossa onde evitare il licenziamento dall’impiego, additato addirittura al pubblico ludibrio come ‘nemico del popolo’, lapidato dai cittadini che hanno già devastato le vetrate di casa a colpi di pietre, al dr Stockmann non resta che allontanarsi dalla scena in un amaro finale perché “I forti devono essere soli”. Va verso il fondo del palcoscenico e nel suo andare, la convenzione teatrale si invera nelle pareti della scena minimalista di Marco Rossi con pannelli mobili per ricreare i vari ambienti (laboratorio, abitazione, redazione, sala assembleare), che vanno crollando aprendo varchi che mostrano l’interno del teatro. Una trovata assai significativa in direzione della verità, quella stessa che fa considerare a Stockmann che in democrazia “la maggioranza ha la forza e la minoranza la ragione”.
La regia di Massimo Popolizio offre alcuni spunti di rara efficacia, intanto chiede alla sua compagnia di attori, tutti compattamente bravi, vestiti di nero, dalla redingote alla bombetta, dislocati in tal maniera di far pensare agli omini di Magritte, una recitazione caricaturale, non realista, così nei giornalisti, dall’editore, al direttore e allo stesso redattore con cui Stockmann ha una costante frequentazione (Michele Nani, Paolo Musio e Tommaso Cardarelli). Caricaturale e buffonesco è Kiil, il suocero, Francesco Bolo Rossini che in questa trasposizione geografica dalle nebbie nordiche a un non precisato paese americano sembra il vecchietto dei gloriosi western. Il grottesco diventa cifra interpretativa per tutti i personaggi, dalla moglie (Francesca Ciocchetti), alla figlia (Maria Laila Fernandez), e tutti gli altri affidati a Flavio Francucci, Cosimo Frascella, Francesco Santagada, Duilio Paciello e Gabriele Zecchiaroli, mentre, Martin Chishimba nel ruolo di un ubriaco che salta e canta offre momenti di raccordo fra i vari tempi.
Straordinarie le prestazioni in scena di Massimo Popolizio e Maria Paiato, rispettivamente Thomas Stockmann, e Peter Stockmann, il Sindaco. Il ruolo en travesti conferisce alla Paiato una autorevolezza che si riverbera tutta nel personaggio ad di là di ogni possibile caratterizzazione recitativa o nello stesso abbigliamento che si completa di bastone, guanti, marsina con gilet e cappello. Un uomo/donna senza sottolineature sessuali, in proiezione verso una passione violenta per i giochi politici, che sono poi quelli anche di oggi.
Un nostro statista affermava:”Il potere logora chi non ce l’ha”. Il Thomas Stockmann di Massimo Popolizio lievita nel corso degli atti fino alla consapevolezza che “essere popolo è una conquista”, altrimenti si è solo massa orientabile.
L’unico a offrire una interpretazione realistica e proprio lui, Massimo Popolizio, che evolve il personaggio in scena fino alla statura tragica e dolente di un uomo non più in cerca di far valere le ragioni etiche quanto piuttosto di chi ha compreso l’impossibilità di sottrarre il popolo al fascino ben più mefitico di un’acqua di fogna da bere di chi lo sa sollecitare sull’interesse economico più ottuso..