Salamini e cucina molecolare
Il pubblico del teatro Golden, open space dove il momento dello spettacolo si vive senza soluzioni di continuità, è avvertito: qui c’è da divertirsi e ci sono loro, i Favete Linguis, professionisti di prim’ordine forniti da madre natura di voci trasecolanti, voci che possono giocare molti ruoli, appoggiarsi sul pentagramma per una inedita Tosca, interamente riscritta, un lavoro di patchwork, di farciture canore che trova contesti nuovi per canzoni notissime al pubblico, oppure creare un medley di brani celeberrimi tratti dai lungometraggi di Walt Disney in tre minuti, tre, e riproporli con grandissimo diletto, e tanto altro ancora.
I “Favete Linguis”, formidabile Trio composto da Emanuela Fresi, Stefano Fresi e Toni Fornari, presentano affiancati da Augusto Fornari, “Fratelli d’Italia”, uno spettacolo che nel titolo non solo svela i rapporti di parentela fra i vari interpreti (Emanuela e Stefano sono fratelli, come lo sono i Fornari), ma coinvolge esperienze musicali che riguardano fatti di casa nostra. Perciò quell’inizio con uno schermo gigante con Mina che canta a gola piena “Zum , zum, zum”, sigla di apertura del programma “Sabato sera”, o “Domenica è sempre domenica”, la sigla del celebre “Il Musichiere” di Mario Riva, che inchiodava dal 1957 al ’60 il nuovo pubblico di utenti televisivi al divano di casa. Gli stessi che oggi si appendono agli schermi de “La Prova del cuoco” e di Antonella Clerici e imparano la cucina molecolare.
L’ottica si allarga, ora la memoria viene sollecitata su brani tratti da commedie musicali di Garinei e Giovannini e del Teatro Sistina, entrati a far parte della quotidianità italiana. Canzoncine come “Soldi, soldi, soldi” da “Un mandarino per Teo”, o “Oggi mi sento milionario” da “Giove in doppiopetto”, dove imperava Carlo D’apporto e la sua recitazione raffinata che richiamava nella nostra penisola la verve francese di Maurice Chevalier. O ancora quello sconsolato, malinconico e divertente trio, capeggiato da Domenico Modugno che constatava con irresistibile carica comica. “ Siamo rimasti in tre/ tre briganti e tre somari” , proprio quando i garibaldini erano alle porte e i picciotti siciliani si scaldavano d’amor patrio. ( E quanto l’hanno scontato poi, quando hanno veramente capito in che mani erano caduti ).
Lo spettacolo va avanti a tutta birra. Augusto Fornari entra in scena avvolto dal tricolore, e comincia un omaggio ai romani che hanno fatto grande la città, primo fra tutti Ettore Petrolini, di cui la memoria conserva gelosamente almeno tre brani; “Gastone”, protagonista il giovinastro mariuolo, poi ripreso da tutti i più grandi attori della generazione successiva, da Alberto Sordi a Luigi Proietti. C’è poi l’ironica e salace cantilena “I salamini”, diventata sigla di riconoscimento per un giornalista del “Sole-24 ore”. L’ultimo pezzo è “Tanto pe’ canta”, che venne in eredità a Nino Manfredi e con lui percorse con grande successo la Penisola.
I tre brani sono miscelati insieme e cantati con vera maestria contemporaneamente: una autentica prova di bravura. Le canzoni degli anni ’20 e ’30 sono occasione per battute divertenti e doppi sensi allusivi, ad es. quando il gruppo prende di mira Armando Fragna, giocando sul nome. E l’autore de “I pompieri di Viggiù”, di “Arrivano i nostri” e della più romantica “Qui, sotto il cielo di Capri”, diventa occasione di divertimento.
I Favete Linguis sono autori brillanti e spesso si impegnano in riletture storiche divertenti, come quando rievocano le imprese garibaldine. Augusto Fornari , arrivato in scena su un cavalluccio a dondolo e con indosso la bandiera, ricorda che l’eroe biondo ha inaugurato gli sbarchi in Sicilia, creando la tradizione che continua tuttora a Lampedusa. Con Garibaldi, torna la voglia di patriottismo e platea in piedi e artisti si trovano insieme a cantare L’Inno di Mameli.