Teatro Quirino – ‘Amadeus’ di Peter Shaffer con Geppy e Lorenzo Gleijeses

Il genio e il nemico impotente

Roma, 21 novembre 2019 – Il Teatro Quirino porta alla ribalta il suo direttore artistico, Geppy Gleijeses, nei panni di Salieri, nel bellissimo dramma di Peter Shaffer, “Amadeus” che riprende una diceria, ricordata da Puskin nelle sue ‘Piccole tragedie’, che circolava nel Settecento sulla presunta rivalità fra il genio folgorante di Mozart e il musicista di Corte, il veronese Antonio Salieri. E che vuole che il salisburghese sia stato avvelenato dall’impari rivale. La leggenda, non suffragata da alcuna prova storica, offre la chance per penetrare in un mondo chiuso nel quale si muovevano figure intermedie nella gerarchia sociale, con i musicisti appena un gradino più su dei servi ma destinati in alcuni casi ad assurgere in virtù della loro arte, ad una sorta di immortalità mentre la storia ha cancellato molti nomi dei potenti che li avevano al loro servizio. Sei anni dopo la pubblicazione del dramma di Shaffer, Milos Forman firma un movie dal titolo eponimo, con F. Murray Abraham e Tom Hulce (rispettivamente Salieri e Mozart), un capolavoro premiato con molti Oscar. Al centro della vicenda c’è Salieri, la cui grandezza egli stesso poteva misurare sulla capacità di comprendere appieno il genio Mozart, e nel contempo sulla propria inadeguatezza a misurarsi e competere con lui.
Qui, sul palcoscenico del Quirino si esibiscono Salieri, Geppy Gleijeses, e Mozart, Lorenzo Gleijeses, padre e figlio, in un confronto davvero straordinario che investe di emozioni la platea. Qui Salieri lotta con una recitazione intensa e profonda, dove la rabbia , il dolore, il cinismo, l’invidia e l’impotenza a contestare i doni che Dio ha profuso a piene mani su Amadeus, si gonfiano di disperazione, di odio e di crudeltà fino a spingere ai margini della vita e poi nell’Oltre il genio immeritevole. Colui che non ha promesso castità e rinunzie, come lui, anzi è lascivo e volgare, tutto proteso a contentare le smanie sessuali della sua giovinezza, libero all’apparenza e perciò meritevole di punizione, ma anche capace di presentarsi come un incubo al quale è impossibile sottrarsi, e così maledettamente inconsapevole della propria grandezza. Colui che compone come in un gioco di tasselli, assegnando i suoni agli strumenti nel momento di liberare dalla possanza della propria arte sublime la musica, La MU SI CA prigioniera. Amadeus è giovane, giocoso, ma profondamente consapevole nel momento in cui compone di creare qualcosa di definito, che non abbisogna di correzioni. Questo Mozart ragazzo perpetuo è il magnifico Lorenzo Gleijeses, degno figlio di Geppy (già aureolato da un Premio UBU nel 2006).

Il grande successo (mai ascoltati tanti ‘bravo’ diretti ai due protagonisti e poi a tutti gli altri in una sola serata) è certamente dovuto ad una produzione eccellente, che ha saputo creare un allestimento di straordinario d’impatto e ad una serie di componenti felicemente adottati a creare un amalgama perfetto. dal linguaggio del dramma carico di sfumature nella traduzione di Masolino D’Amico, dalla drammaturgia che si conferma anche ora dopo quarant’anni attualissima, dal cast formato da Giulio Farnese, Gianluca Ferrato, Roberta Lucca, Giuseppe Bisogno, Anita Pititto, Elisabetta Mirra, Agostino Pannone, Brunella De Feudis e Dario Vandelli. Tutti perfettamente nel ruolo e con partecipata diligenza. Ma ancora le scene risultano protagoniste, sono pareti lignee verticali sulle quali si aprono finestre con diversi personaggi che prendono parte attiva, come i ‘venticelli’, spioni mandati da Salieri ad annusare ogni pettegolezzo che riguardasse Mozart. Il merito va anche alla scelta dei momenti musicali curata da Matteo D’Amico; ai movimenti coreografici, che raccontano l’esuberanza giovanile di Mozart, i suoi saltelli di contentezza, le birbonate, i giochi erotici sfacciati scelti da Ramune Chodorkaite, come anche ai meravigliosi costumi firmati da Luigi Perego con le sue parrucche barocche; costumi eleganti e sfarzosi, che fanno rilucere. broccati setosi dai colori pastello, sotto le luci curatissime di Luigi Ascione che tagliano il palcoscenico come lame e rendono ragione del viso ispirato e sconvolto fino alla follia di Salieri e al finale tragico.

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