Roma, 30.01.2019 – Un successo che si rinnova inesausto, una “filosofica” riflessione sulla vita, sui personaggi che si incontrano in una città simbolo come Napoli, sui luoghi comuni sui quali si costruisce una società vitale, che stabilisce in modo originale le sue stratificazioni sociali: è quanto promette “Così parlò Bellavista” (che cita nel titolo ‘Così parlò Zarathustra’ di Nietsche) di Luciano De Crescenzo, approdato brillantemente in scena al Teatro Quirino in una produzione di Alessandro Siani dopo quarant’anni della sua pubblicazione.
Tradotto già per lo schermo nel 1984, ‘Così parlò Bellavista’, ora nella versione drammaturgica di Geppy Gleijeses, anche protagonista nel ruolo di Gennaro Bellavista, vuole essere un atto di omaggio ai 90 anni del suo autore, ricordare il coautore Riccardo Pazzaglia che il grande pubblico televisivo amava nelle sue argomentazioni sul brodo primordiale nel fortunato “Quelli della Notte” di Renzo Arbore, e rievocare una Napoli con tutte le sue contraddizioni, ma sempre animata da una sorta di bonomia, una Napoli, terra di disoccupazione anche intellettuale, di Camorra, di superstizioni, di preconcetti e stereotipi, ma anche di una umanità semplice e divertente, ancorata alle certezze della tradizione, ma che sa accogliere la vita e le sue modulazioni con un brillante spirito di adattamento e con ironia.
In un palazzo della città, uno di quelli custoditi da un portiere, e, in questo caso, anche da un vice portiere e da un apprendista, vive Gennaro Bellavista, professore in pensione, con la moglie Maria (impareggiabile nel ruolo Marisa Laurito), e Patrizia, la figlia giovanissima che dall’amore con Giorgio, architetto disoccupato (Gregorio De Paola) ha acquisito un pancione in crescita con tutti i problemi connessi. Qui il professore sotto l’occhio vigile e marmoreo di un busto di Socrate e con una carta geografica che si snoda dal soffitto disserta di filosofia con i fedeli discepoli, il vice-sostituto portiere Salvatore (Benedetto Casillo), il netturbino Saverio (Vittorio Ciorcalo), e Luigino(Gino de Luca), il poeta estemporaneo (di artisti Napoli ne produce a getto continuo e un palazzo che si rispetti deve ospitarne un rappresentante); qui espone la sua teoria del mondo basata sulla inconciliabile differenza fra gli ‘uomini d’amore’ e gli ‘uomini di libertà’. I primi vivono a Napoli, amano il presepe, bevono caffè e per Natale mangiano i truffoli. Gli altri hanno l’abitudine di sorbire il tè al risveglio, di fare la doccia e non il bagno ed altri vituperabili comportamenti. Le lezioni di Bellavista disegnano una Napoli che riscrive la realtà con tutta la carica di un inesauribile umorismo, così i panni stesi ad asciugare su cordicelle che collegano i palazzi sono un indicatore di unione fra le signore che dovranno concordare i tempi delle asciugature e finiscono per disegnare una sorta di trama che collega capillarmente la città. Come dire: da folklore, simbolo di sciatteria a un modo gentile per creare amicizie.
Il testo è un gioco di fila di situazioni esilaranti, che ripropongono particolari caratteristiche della napoletanità, dal gioco del Lotto, alla 500 tappezzata di giornali e trasformata in alcova, o il ‘core’ napoletano nella scenetta del cavallino rosso causa di un furto d’auto, che coinvolge la platea con effetto comico moltiplicato.
ll linguaggio semplice e diretto di Bellavista/De Crescenzo è entrato ormai di prepotenza nel dominio linguistico del pubblico che per tutta la durata anticipa i versetti poetici di Luigino e si scatena in applausi e risate d’allegria, diventando un personaggio aggiunto.
In questa realtà così ben delineata irrompe travolgente l’ing. Cazzaniga, milanese doc, (Gianluca Ferrato) immediatamente accolto con diffidenza, e sul quale vengono immediatamente riversati i pregiudizi e attribuiti quegli strani contegni che lo dichiarano “uomo di libertà” e non ‘d’amore’, come la sveglia alle sei del mattino, lui che è il capo del personale dell’Alfa sud e potrebbe permettersi ben altri orari. Ma quando un guasto dell’ascensore costringe il prof. Bellavista e l’ing. Cazzaniga alla difficile ancorché momentanea coabitazione negli spazi dell’ascensore condominiale avviene l’inevitabile, i due imparano a conoscersi e ad apprezzarsi e il filosofo urbano si ritrova a gustare il panettone giunto caldo caldo da Milano.
Davvero straordinaria la prova di Geppy Gleijeses, non solo come attore ma anche per la regia che ha creato un amalgama perfetto tra i vari attori e un taglio scena ‘cinematografico’, con un assai apprezzato montaggio rapido.
La vis comica di Marisa Laurito, indubitabile, esalta il personaggio della moglie che segue la tradizione di preparare le bottiglie di sugo di pomodoro, che accoglie con amore la figlia incinta preoccupandosi di fare spazio in casa ai due innamorati. Ottima la prestazione del resto della compagnia da Benedetto Casillo ai caratteristi, Nunzia Schiano e Salvatore Misticone (esilarante nei panni di Core Ingrato, l’esattore del pizzo della Camorra)e a tutti gli altri.
Lo spettacolo del Quirino si svolge nella scena bellissima di Roberto Crea, che riproduce la facciata di palazzo Ruffo di Castelcicala in via Foria, dove Luciano De Crescenzo ha ambientato il suo film. Una spettacolare doppia rampa di scale su tre piani che occupa il fondo della scena e sovrasta una corte dove i fatti avvengono accesi dalle luci curatissime di Luigi Ascione che esaltano le scene, creando i luoghi dell’azione e sottolineando i personaggi.