Roma, 13 aprile – Si può dire che “Doppio Sogno”, in scena al Teatro Quirino, viaggi sulle note della “Pavane pour un Infante Défunte” di Maurice Ravel. Il titolo dello struggente brano, infatti, diventa la chiave di volta del lavoro di Marinelli che prende lo spunto dall’omonimo racconto lungo di Schnitzler e dalla versione cinematografica di Stanley Kubrik, canto del cigno del grande maestro del cinema di atmosfere. Ma qui i due artisti sono “saccheggiati” spigolando di qua e di là, con un metodo narrativo forse più moderno e con un senso della circolarità del racconto per cui tutto torna camuffato a cercare spiegazioni in una logica che non è il linguaggio dell’autore-regista. Sarà la Pavane che il misterioso personaggio chiede a Naktigal, il fidato amico del medico e pianista di un bar tabarin, amico di Fridolin dai tempi dell’Università di suonare bendato fino allo sfinimento durante una delle sue feste proibite, commemorative della morte della figlioletta, dove orgiastiche donne nude si accoppiano con gentiluomini in maschera, protetti anche dalla invalicabile barriera delle parole d’ordine che permettono l’accesso e la fruizione dei corpi disponibili.
Un altro tema molto intenso in questo lavoro è quello della pedofilia e dell’apprendistato sessuale di una ragazzina, incubo ricorrente del dottor che si chiede chi sarà colui che per primo farà vivere alla figlia quel rito di passaggio che è la cosiddetta “prima volta”. La figlioletta del dottore è malata, molto malata, una febbre invincibile la divora e se ne sta acquattata ad insinuarsi sfilacciosa e implacabile come un senso di colpa. E la porta con sé, in quel mondo del dolore e dell’assenza che scopriremo alla fine, quando Fridolin in una sorta di regressio freudiana terapeutica rivivrà il proprio passato, cercando di ritrovare energie vitali dal percorso nella memoria con l’ aiuto dell’amico, non più pianista ma psichiatra, seguendo l’ordine di studi intrapreso con lui. Schnitzler, da cui tutto prende le mosse, è stato grande amico di Sigmund e non poteva che venire profondamente influenzato dagli studi sulle motivazioni segrete della psiche umana.
E ancora di Marinelli, e solo suo, è il personaggio di Ivana, la madre dall’amore quasi incestuoso per il figlio dottore, pronta a rivaleggiare con la moglie scoprendone inesistenti difetti fisici, invadente persino degli spazi riservati del talamo.
Al Quirino il ruolo, che forse inizialmente doveva essere una sorta di cammeo, è indossato a pelle da Ivana Monti. E allora nello spettatore scatta la molla della comparazione e il “Doppio Sogno” di Marinelli si piega alla bravura dell’attrice e tutto il resto, la bellezza algida di Caterina Murino, Nicole ( il nome della moglie in questa pièce), cui manca quell’empatia indispensabile a comunicare emozioni alla platea, quello di Fridolin, il volenteroso Ruben Riggillo, ne risultano sbiaditi ed esangui. Certo, dato il titolo, chi va a vedere “Doppio Sogno”, riscritto da Giancarlo Marinelli, e da lui messo in scena, non può non tenere conto sia dell’opera originale dello scrittore viennese che dell’ultimo, straordinario capolavoro di Stanley Kubrik “Eyes Wide Shut” con la portentosa coppia formata da Nicole Kidman e Tom Cruise. La loro presenza incombe nella memoria e fa sbiadire la riproposta su un palcoscenico con sostituti di diverso calibro.
Ben più ampio spazio è stato riservato nella riscrittura al personaggio di Naktigal, una specie di acceleratore degli snodi della pièce che Rosario Coppolino esalta con i suoi precipui valori interpretativi, assoggettandosi a dare vita anche allo psichiatra e a quel curioso “disturbatore” ( la cui funzione è oscura davvero, anzi è inutile ) che d’improvviso spunta sul proscenio, fa chiudere il sipario, accendere le luci in sala inveendo contro il pubblico che fa squillare i cellulari e che scarica la gola con colpi di tosse.
Adeguati al lavoro il resto degli attori, Andrea Cavatorta, il Consigliere Bohm, Francesco Maria Cordella,Gibiser, Serena Marinelli, Pierrette, Simone Vaio, Albert Bohm, Carlotta Maria Rondana, la donna in blu.
Del film di Kubrik si sono volute conservare in certo qual modo le scene che, pur nei limiti di un allestimento su palcoscenico, cercano di riprodurre l’eleganza fin de siècle degli ambienti del film. Le scene, mobilissime, sono firmate da Andrea Bianchi. I costumi sono di Adelia Apostolico, le luci creative sono disegnate da Mirko Oteri. Le musiche sono di Roberto Fia, autore di una delle canzoni di gran successo di Gianni Morandi “Uno su mille ce la fa”, e ripercorrono la colonna sonora di Jocelyn Hook per “Eyes Wide Shut”, che ottenne un Golden Globe.