Roma, 19 ottobre 2019 – Sul palcoscenico del Quirino si apre il sipario su “Il silenzio grande”, commedia in due tempi del noto scrittore Maurizio Di Giovanni ( fra i suoi lavori, “I Bastardi di Pizzofalcone”), che esemplifica la più classica funzione del teatro, quella di rappresentare la vita e le sue componenti essenziali, gli affetti nei quali si esprime, la costruzione della grande tela dei rapporti umani, fra i componenti del nucleo familiare tra di loro e verso la società esterna, indagati con occhio maturo dall’autore e messi in luce dalla regia di Alessandro Gassmann, regia moderna, cinematografica, che utilizza propriamente i mezzi tecnologici, dando vita a ectoplasmi virtuali di grande efficacia.
In uno splendido studio biblioteca, nella scena firmata da Gianluca Amodio, con scaffali di legno finemente rifiniti alti sino al soffitto e ricolmi di libri amatissimi, gelosamente catalogati secondo il criterio della “omogeneità emotiva”, ovvero delle emozioni che sanno suscitare e dei conseguenti stati d’animo che provocano in chi li legge e non nell’abituale ordine alfabetico o cronologico, vive Valerio Primic, (lo straordinario Massimiliano Gallo, proteiforme per l’enorme varietà di sfumature che regala al personaggio), scrittore di successo, insignito di ben tre premi Strega, ma da oltre venti anni quasi recluso in questa felice trappola con solo la “fuga” liberatoria di una magnifica vista sul mare di Napoli. Valerio è incapace di produrre ancora i suoi fortunati racconti. Centrato com’è su se stesso, egli se ne resta avulso dalle dinamiche familiari, ed è preso semmai dalle sue antipatie personali per Luca che dovrebbe risolvergli i problemi economici e che gli corteggia la moglie, per i critici improvvisati, e perciò non sembra nemmeno scosso dalla perdita progressiva di ogni risorsa che costringe a mettere in vendita la sua splendida casa.
In casa, presente da sempre e come non mai la fedele cameriera governante e all’occorrenza anche consolatrice, Bettina, (modulata interpretazione di Monica Nappo, attrice collaudata con un repertorio che va dal drammatico al comico e qui impegnata a dare colore e verità al personaggio). È lei la vera anima della famiglia Primic, cui mette a disposizione le doti di buon senso, lei che rimarca come i piccoli silenzi del non detto si raccolgono nel grande silenzio che provoca cesure inesorabili. Bettina sta sempre a portata d’orecchio dietro una delle due porte della biblioteca. La seconda porta mette in comunicazione lo scrittore con la famiglia, con la moglie Rose, interpretata in modo asciutto e moderno da Stefania Rocca, con i due figli, Massimiliano, irriverente e spregiudicato che gli rivela la propria omosessualità al culmine di una scena in cui mostra di odiarlo per la sua assenza della vita dei figli, e che sogna una non meglio precisata carriera artistica (indossato dal giovane Jacopo Sorbini), e la figlia Adele (resa molto bene da Paola Senatore). Adele adora il padre, ed è evidente che lo ammira talmente anche come scrittore da non sopportare i propri coetanei e da cercare, in ogni possibile compagno, la figura paterna. Il suo complesso d’Edipo al femminile le fa fare scelte senza criterio, fino ad una indesiderata gravidanza.
Dopo averci abilmente presentato i suoi eroi, Di Giovanni ci introduce nella seconda parte della sua commedia sentimentale e comica. Siamo ancora nella biblioteca, ma i libri sono incasellati senza grande ordine in enormi scatoloni pronti per il trasloco. Un momento amaro di riflessione sul ruolo di padre e figlio impegna lo scrittore, i suoi ricordi appaiono evanescenti su un velatino, spinti ad una esistenza fantasmatica dal presente pressante e dal non detto che si disvela alla fine della storia e che non raccontiamo perché questo spettacolo più di tanti altri merita davvero di essere assaporato di presenza per la felice commistione di testo, regia, recitazione, scena, ma anche luci Marco Palmieri) elaborazioni video (Marco Schiavoni), costumi (Mariano Tufano) e musiche (Pivio & Aldo De scalzi).